Da settimane ormai Gerusalemme Est e Gaza erano in ebollizione. È solo negli ultimi giorni però che l’escalation è esplosa irrimediabilmente e stiamo assistendo in questo momento ad un macabro spettacolo – tipico della questione israelo-palestinese – la cui entità non si vedeva da anni.
Le tensioni erano cominciate alcune settimane fa, quando il governo di Tel Aviv aveva annunciato il piano per l’ennesima espulsione di diverse famiglie palestinesi dal quartiere Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est. I presidi e le manifestazioni in solidarietà alle famiglie in questione sono stati più volte attaccati dalle forze dell’ordine israeliane, sfociando in scontri sempre più violenti, con decine di arresti e feriti.
Mentre aumentava l’intensità degli attacchi israeliani contro i palestinesi nella zona della Porta di Damasco, il governo Netanyahu cominciava ad impedire l’ingresso nella città ai musulmani palestinesi diretti alla moschea di Al-Aqsa – il terzo luogo più sacro per i musulmani di tutto il mondo, dopo i siti della Mecca e di Medina – arrivando a schierare le forze di polizia nella spianata delle moschee. Tra sabato e lunedì, le forze dell’ordine israeliane hanno ripetutamente attaccato i fedeli raccolti nel complesso della moschea di Al-Aqsa con lacrimogeni, granate stordenti e proiettili di gomma. Al momento il bilancio degli scontri tra il 7 e il 10 di maggio è di almeno un migliaio di feriti.
Tutto ciò avviene proprio mentre la maggior parte del popolo palestinese celebra gli ultimi giorni del mese del Ramadam, che sono i più importanti per i fedeli. A pochi giorni di distanza, tra l’altro, dalla ricorrenza dell’inizio della Naqba, la cacciata dei palestinesi dalle proprie terre da parte delle autorità israeliane nel 1947-48. Erano inoltre previste, per questi giorni, le consuete marce indette ogni anno dagli elementi più sciovinisti della popolazione israeliana per celebrare il “Jerusalem Day” in ricordo dell’esito della Guerra dei Sei Giorni – quando Israele nel 1967 ha annesso in modo definitivo la striscia di Gaza, le Alture del Golan e Gerusalemme Est.
A questa serie di oltraggi, le forze palestinesi hanno risposto dichiarando un ultimatum, chiedendo che venissero smobilitate le truppe di occupazione israeliane dalla spianata delle moschee, che venissero rilasciati i prigionieri di questi giorni, che venissero fermate le espulsioni delle famiglie palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah e che fossero cancellate la marce per il Jerusalem Day. Si chiedeva insomma di porre fine alle tensioni di queste settimane.
L’ultimatum delle forze palestinesi non è stato ascoltato, così che dalla notte del 10/05 sono partiti dalla striscia di Gaza centinaia di missili verso i territori israeliani. Visto il preannuncio da parte di Hamas, i territori israeliani a rischio hanno aperto i rifugi anti-missile ed evacuato centinaia di edifici. Inizialmente, la stragrande maggioranza delle testate partite da Gaza sono state intercettati dal sistema antimissile Iron Dome – tra i più all’avanguardia nel mondo, che raramente fallisce contro i rudimentali missili prodotti nella piccola striscia di terra, costantemente sotto embargo e con scarse risorse – o sono caduti su territori non abitati. È solo da ieri pomeriggio (11/05) che – vista l’immensa quantità di missili lanciati da Gaza – il sistema Iron Dome ha cominciato ad essere saturato dal fuoco di Gaza e alcuni missili sono riusciti a colpire obiettivi israeliani. Al momento il bilancio è di 6 morti in territorio israeliano, mentre è stato anche colpito un oleodotto e il traffico aereo del paese è stato interrotto.
In seguito ai lanci di missili da Gaza, il governo israeliano ha fatto partire decine di raid aerei. Ufficialmente, come sempre del resto, gli obiettivi erano “terroristi”, “centri logistici”, “depositi di munizioni” e altre infrastrutture ritenute legate alle attività di queste ore. Essendo però la Striscia di Gaza uno dei territori più densamente popolati al mondo, non esiste la possibilità materiale di distinguere tra obiettivi militari e territori civili. Questo il governo israeliano lo sa bene, e infatti nei decenni passati la popolazione civile è sempre stata coinvolta inevitabilmente in questi raid di ritorsione.
I fatti di queste ore non fanno eccezione. Al momento il bilancio è di almeno 43 vittime tra la popolazione di Gaza, per la maggior parte civili. Tra di essi, 13 sono minorenni. I feriti a causa dei raid sono almeno 269. Mentre scriviamo queste righe, però, i raid continuano, e le cifre sono inevitabilmente destinate ad aumentare. L’escalation non sembra destinata a calmarsi nel breve periodo, visto che è di ieri (10/05) mattina la notizia che 5.000 riservisti delle forze armate israeliane sono stati richiamati in servizio per rinforzare il fronte interno in queste ore. In svariate città israeliane la popolazione araba si è sollevata in protesta e in solidarietà alla popolazione di Gaza, con molte di queste proteste che sono sfociate in ulteriori scontri violenti. La città di Lod, vicino a Tel Aviv, è stata militarizzata e uno “stato di emergenza” locale è stato dichiarato, proprio in seguito agli scontri di queste ore. Sembra che il governo israeliano stia pure schierando in queste ore al confine con Gaza i suoi carri armati.
Da 73 anni la pace in Palestina è minata dagli interessi imperialistici nel più complesso scenario mediorientale. Lo Stato d’Israele ha costituito un regime di apartheid funzionale alla tutela degli interessi dei monopoli economici israeliani e occidentali, a cui alla segregazione su base etnica e religiosa si affianca il sistematico sfruttamento della classe lavoratrice, in una situazione di privazione di diritti civili e sociali. Ancora oggi lo scenario palestinese vede le forze d’occupazione israeliane perpetrare atti di violenza gratuita inauditi, mantenendo un vero regime del terrore. A peggiorare il quadro, come sempre, è il vile servilismo dei principali mass media occidentali, che hanno dipinto l’accaduto come una legittima reazione israeliana ad un immotivato bombardamento palestinese, omettendo l’aggravarsi in questi mesi degli atti di prevaricazione e di segregazione che le forze di occupazione hanno perpetrato a danno dei palestinesi (tra le tante cose, la totale preminenza data alle vaccinazioni degli israeliani mentre gli ospedali palestinesi venivano messi in ginocchio) e che hanno portato a questo scenario.
Quanto sta accadendo è da leggersi come una prova di forza del nuovo governo israeliano, tenuto in piedi anche grazie alla presenza della destra reazionaria del partito Yapid. Si tratta di un’ostentazione di forza militare che vuole dare un segnale chiaro ai paesi occidentali: le grandi concessioni fatte dall’amministrazione Trump non possono essere messe in discussione. Per la strategica posizione occupata da Israele nello scacchiere imperialista il “mondo libero” continuerà a sostenere Israele, esprimendo, al massimo, “preoccupazione” per quanto sta accadendo. Sono gli equilibri imperialisti, i fattuali rapporti di forza, e non un astratto diritto internazionale o una qualsivoglia morale, a determinare gli avvenimenti attuali.
“L’unica democrazia del Medio Oriente” fa ancora una volta cadere la maschera, rivelandosi uno stato suprematista che emargina sistematicamente la componente palestinese, che delle sue terre è stata privata con la violenza negli anni, con il tacito accordo delle “democratiche” potenze dell’asse USA-UE-NATO. La gioventù e le classi popolari di tutto il mondo si devono schierare per la pace in Palestina, per la fine dell’oppressione attuata da Israele nei confronti del popolo palestinese, per il diritto del popolo palestinese ad avere un proprio Stato, mettendo alla porta il razzismo e il fondamentalismo religioso.