In università è vietato alzare la testa. Questo è il messaggio che arriva da Roma e Torino, dove nella giornata di ieri le forze dell’ordine sono state schierate contro gli studenti. La Sapienza di Roma – la più grande università d’Europa – in occasione della “Giornata internazionale dello studente” ha organizzato una conferenza dal titolo L’Università di oggi e di domani!. A prendere la parola sono stati Maria Cristina Messa, Ministra dell’Università e della Ricerca, Elena Bonetti, Ministra per le Pari opportunità, il cardinale Giuseppe Versaldi, Prefetto della Congregazione per l’Educazione cattolica della Santa Sede, e monsignor Carlo Giuliodori, Presidente della Commissione Episcopale per l’Educazione cattolica, l’Università e la Ricerca. Nessuno spazio di intervento per la comunità studentesca. Così, studenti e studentesse e diverse organizzazioni universitarie hanno organizzato una contestazione per gridare la loro indignazione contro l’ennesima discussione inerente il proprio futuro, senza però il loro diretto coinvolgimento. Nel momento in cui il presidio si è trasformato in un corteo diretto alla Facoltà di Economia, sede dell’incontro, le forze dell’ordine hanno impedito con la forza ai manifestanti di entrare in ateneo.
Anche al Politecnico di Torino, nella stessa giornata, si è svolta l’inaugurazione dell’anno accademico tra le proteste di studenti, organizzazioni universitarie e sindacati, a contestazione delle politiche di ateneo che rendono l’università sempre più classista, piegata agli interessi delle imprese e complice con l’imperialismo. Nel mirino della protesta, infatti, vi era soprattutto la sigla di un progetto del valore di 4 milioni di euro tra il Politecnico e Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. In virtù di tale accordo la Ithaca Srl, una società fondata dallo stesso ateneo e cofinanziata dalla Compagnia di San Paolo, dovrà produrre cartografia utile allo svolgimento delle attività di tale agenzia. Le attività di Frontex, nello specifico, consistono non solo nel respingimento forzato di persone che, in fuga dai disastri economici e umanitari dell’imperialismo, necessitano di aiuto e assistenza, ma anche nel loro confinamento in veri e propri campi di reclusione, dove il mancato rispetto dei diritti umani più basilari è la norma. Alcuni studenti iscritti al Fronte della Gioventù Comunista che si stavano dirigendo al presidio sono stati spintonati dalla Digos, che ha impedito loro di entrare in università perché avevano un megafono e ha cercato invano di costringerli a mostrare i documenti, mentre altri agenti si erano disposti per sbarrare l’ingresso.
Così si sono espressi gli universitari romani del FGC, in prima linea nella protesta alla Sapienza: «Riteniamo gravissimi e condanniamo questi fatti, in un’università in cui ogni decisione sul futuro è presa solamente dalle imprese e da chi le rappresenta, mentre agli studenti che vogliono decidere del loro futuro è riservata soltanto repressione, impedendogli perfino l’accesso al proprio luogo di studio». Se quindi la lotta degli studenti a Roma continua, stessa cosa accade a Torino, dove è stato convocato dal FGC un presidio di protesta per le 13 alla Cittadella politecnica. L’azione di repressione di ieri viene giudicata come «un’azione che si inserisce all’interno delle politiche intraprese dal rettorato nell’ultimo periodo. Accordi milionari per collaborare al respingimento degli immigrati alle frontiere, un masterplan urbanistico che prevede la chiusura del Comala, associazione culturale e più grande aula studio della città, al fine di costruire un nuovo Esselunga e rafforzamento della presenza delle aziende in università. Lottiamo contro questo modello di università, non saranno i controlli di polizia a fermare i motivi della protesta contro un’università sempre più classista».
Di fronte a quanto accaduto ieri due considerazioni sono d’obbligo. Innanzitutto, il modello dell’università-azienda ha portato negli atenei italiani la logica d’impresa. Il dissenso e le proteste che possono mettere in crisi il “buon nome” dell’università – e quindi renderla meno attrattiva a investimenti di banche e aziende – vanno repressi. Per farlo, i rettori non disdegnano di richiedere il dispiegamento di forze dell’ordine, accettando quindi che venga usata la forza contro chi studia e chi lavora in università. Questo hanno fatto la rettrice Polimeni a Roma e il rettore Saracco a Torino.
In seconda battuta, non è un caso che questo ricorso alla violenza coincida con eventi che devono inaugurare mesi di propaganda circa i fondi che arriveranno con il PNRR. Questi atti vanno, quindi, letti assieme alla repressione degli ultimi mesi nei luoghi di lavoro, alla polizia mandata a sgomberare occupazioni nelle scuole superiori – si veda il caso del Liceo Ripetta nella capitale – ai processi giudiziari che tentano di criminalizzare chi lotta contro questo sistema – come il Movimento Disoccupati “7 Novembre” di Napoli – ed all’attacco al diritto di manifestare mosso dalla Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese. Per questa ragione, la risposta deve arrivare in maniera unitaria con chi si oppone alle politiche con cui il governo e l’Unione Europea vogliono far pagare i costi della ristrutturazione capitalistica alle classi popolari. Perché coloro che hanno smantellato l’università e la ricerca pubblica, che cercano di piegarle ai loro interessi economici, sono le stesse banche, le stesse fondazioni e le stesse imprese che quotidianamente fanno profitti sulla pelle di chi lavora. Se il nemico è comune, la risposta deve essere una.