«Se sfondano qua, sfondano dappertutto». Quante volte lo hanno detto i lavoratori e le lavoratrici del Collettivo di Fabbrica della GKN di Campi Bisenzio (Firenze). Parole che tornano attuali perché il 30 novembre la GKN Automotive, di proprietà del fondo britannico Melrose Industries, ha consegnato le lettere di licenziamento alle 422 persone impiegate nello stabilimento fiorentino.
La vertenza GKN, iniziata il 9 luglio, dimostra ampiamente quanto i padroni sono senza scrupoli in questa fase di ristrutturazione della produzione, durante una delle più gravi crisi del capitalismo. Licenziare, riallocare stabilimenti laddove la produzione conviene di più in modo da consentire maggiori profitti e, di conseguenza, maggiore capacità di investimento altrove (nuove acquisizioni, speculazione in borsa etc.). Questo ha fatto il fondo Melrose, tanto a Campi Bisenzio quanto a Birmingham. E lo ha fatto nonostante i siti producessero profitto.
Ma non è solo il fondo Melrose a muoversi in questo modo. Lo dimostra la vicenda dell’Embraco di Riva di Chieri (Torino), che ha visto pochi giorni fa la resa definitiva del Ministero dello Sviluppo economico, che non proporrà più alcun piano di rilancio e abbandonerà i 400 lavoratori al licenziamento e a poche briciole (7000 euro lordi a testa). Lo dimostra tutta la vertenza Alitalia-ITA Airways, come anche i casi della Whirlpool di Napoli, della Saga Coffee di Gaggio Montano (Bologna). E tanti altri potremmo citarne.
Il punto è scardinare quello che è ormai il copione che si ripete da anni di fronte all’arroganza padronale: licenziamenti; chiusura; delocalizzazione; manifestazione e indignazione dei vertici sindacali; crescente attenzione mediatica; tentativo (che puntualmente fallisce, a meno che non sia nettamente al ribasso) delle istituzioni di mediare o di trovare un nuovo compratore, cassa integrazione e ammortizzatori sociali per far vedere che “lo Stato c’è”; nuovi tavoli, magari anche un compratore che compra, ma che poi ricade nella stessa dinamica di prendere i fondi pubblici per il rilancio, abbassare le condizioni di lavoro e poi andarsene. Il Collettivo di Fabbrica GKN questo lo ha descritto esaustivamente, affermando che quello che interessa non è ottenere una sentenza giudiziaria favorevole, il sostegno istituzionale, ma difendere e mantenere i posti di lavoro, tenere in vita i siti produttivi con condizioni dignitose per chi li manda avanti giorno dopo giorno, e che ciò avvenga sotto il controllo dei lavoratori.
A Campi Bisenzio 422 lavoratori e lavoratrici hanno dimostrato che si può resistere, che si può occupare una fabbrica per mesi, che si può creare una rete di solidarietà solida attorno alle ragioni operaie, che si può discutere e fare proposte concrete circa il controllo operaio della produzione. Ora, di fronte alla nuova apertura del procedimento di licenziamento, bisogna stringersi con maggior forza attorno al Collettivo di Fabbrica GKN, fare quadrato e insorgere davvero ovunque. Per fare questo è necessario comprendere che la ripartenza programmata dal governo – il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – consiste in un attacco generalizzato ai diritti della classe operaia e delle masse popolari, che passa per piegare sempre più l’istruzione agli interessi padronali, per accentuare la precarietà delle condizioni di lavoro e frammentare così la classe lavoratrice, per scaricare i costi della ristrutturazione capitalistica sulle nostre spalle (si veda l’aumento del caro-vita).
A questo attacco generalizzato si può solo rispondere se tutte le forze di classe hanno il coraggio di mettersi in discussione, di uscire dai propri orticelli, di porsi davvero l’obiettivo di insorgere ovunque – nelle scuole, nelle università, nei quartieri, in ogni luogo di lavoro – per scardinare questo sistema e porre le basi del suo abbattimento. Perché la solidarietà verso i compagni e le compagne della GKN non può più bastare.