A cura della commissione università del FGC
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è il piano del Governo Draghi, diviso in sei missioni, relativo all’utilizzo dei fondi stanziati dall’Unione Europea tramite il Next Generation EU. Tra investimento di fondi pubblici per internazionalizzazioni, transizione ecologica e transizione verso l’industria 4.0 possiamo vedere come i principali beneficiari di questo piano siano le imprese private. Stiamo parlando di un vero e proprio investimento pubblico, nel bel mezzo della crisi dovuta alla pandemia del Covid-19, fatto su misura per i padroni. È in questa logica, quella di un piano utile all’interesse padronale, che bisogna inquadrare il PNRR.
In particolare, la missione 4 riguarda l’istruzione, l’Università e la Ricerca. Essa ha in ballo 30 miliardi di euro di fondi solo per il 2021, una cifra sostanziosa che le imprese non vedono l’ora di accaparrarsi, esattamente come con tutte le altre voci. C’è in particolare un settore che può stuzzicare il loro interesse però, e si trova nella Riforma 1.7 all’interno della missione in questione: essa prende in considerazione gli alloggi universitari, con l’obiettivo dichiarato da parte del governo di triplicare il numero di posti alloggio esistenti portandoli da 40mila a oltre 100mila entro il 2026. L’intento potrebbe sembrare nobile e funzionale al diritto allo studio, ma non è così.
Nel Piano si legge l’intenzione, da parte del governo, di aprire la partecipazione al finanziamento delle nuove strutture, adibite ad alloggi universitari, anche ad investitori privati e a partenariati pubblico-privati. Un obiettivo che si può raggiungere modificando la legge in merito (L. 338/2000 e d.lgs. 68/2012). Lo stanziamento di circa 960 milioni per la costruzione di nuovi studentati non sarà quindi destinato ad allargare il patrimonio pubblico gestito dagli enti regionali preposti a garantire il diritto allo studio. Una scelta che può apparire assurda e priva di senso, ma che si rivela nella sua natura di classe se la si legge per ciò che realmente è:un’opportunità di rendere oggetto di profitto e speculazione persino i meccanismi basilari di accessibilità all’università pubblica, spianando la strada ai lauti guadagni dei costruttori. A ciò va aggiunto il fatto che il Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) si prenderà carico della gestione del progetto per i primi tre anni, anticipandone i costi.
Il coinvolgimento dei privati nell’ampliamento degli alloggi universitari non ha altra funzione se non quella di permetterne la speculazione dunque, ed analizzando il resto della Riforma 1.7, vediamo come essa prevede tutti gli strumenti necessari a renderlo possibile. Citando testualmente, si dispone:
- Supporto della sostenibilità degli investimenti privati, con garanzia di un regime di tassazione simile a quello applicato per l’edilizia sociale, che però consenta l’utilizzo flessibile dei nuovi alloggi quando non necessari all’ospitalità studentesca;
- Adeguamento degli standard per gli alloggi, mitigando i requisiti di legge relativi allo spazio comune per studente disponibile negli edifici in cambio di camere (singole) meglio attrezzate;
- Agevolazioni per la ristrutturazione e il rinnovo delle strutture in luogo di nuovi edifici green-field (prevedendo una maggiore percentuale di cofinanziamento, attualmente al 50 per cento), con il più alto standard ambientale che deve essere garantito dai progetti presentati;
- Digitalizzare la procedura per la presentazione e la selezione dei progetti;
Nel primo punto elencato (il secondo nel testo originale), il governo intende fornire un “supporto della sostenibilità degli investimenti privati” agli investitori tramite una tassazione simile a quella utilizzata per l’edilizia sociale. Lo scopo non è quello di incentivare investimenti da parte di qualche “buon samaritano”, ma quello di massimizzarne la rendita applicando un regime fiscale speciale, nonostante l’apertura ad altri impieghi sia chiaramente consentita. Come se non bastasse finanziare la costruzione di strutture di proprietà privata o ibrida.
Nel secondo punto elencato il governo invita a “mitigare”, quindi ridimensionare per la costruzione degli alloggi i criteri per gli spazi comuni, come mense, sale lettura e cortili. Si taglia sugli spazi comuni per mettere più camere e far alloggiare quanti più studenti e studentesse possibile. Queste strutture dovranno essere più redditizie possibile, in barba alla qualità della vita al loro interno.
Proseguendo, nel terzo punto possiamo vedere che in questa Missione del Piano vengono regalati fondi pubblici ai padroni dietro la maschera della transizione ecologica: il governo, infatti, annuncia agevolazioni nel caso di ristrutturazioni e rinnovi in chiave ambientalista, con cofinanziamenti pari al 50%. Infine, il quarto punto è in linea con la transizione digitale e utile a ridurre i tempi di assegnazione dei bandi.
I punti del PNRR danno solo un indirizzo generale sulla gestione dei fondi in ogni caso: saranno poi i singoli bandi a determinare precisamente le modalità di ogni progetto. In sintesi comunque, possiamo vedere come si continui a procedere verso la già avviata privatizzazione dei servizi relativi al diritto allo studio, che coincide con il più generale processo di privatizzazione dell’università e dell’istruzione tutta.
All’evidente speculazione immediata sulla fase di costruzione finora segnalata, si dovranno poi sommare le conseguenze di quella che non sarà una gestione completamente pubblica degli alloggi. Appare scontato dirlo, ma occorre ribadire che l’obiettivo del privato è solo uno: il profitto. Questo ci porta a pensare a una serie di scenari, non così anacronistici quando si parla del privato coinvolto nei bandi con fondi pubblici: cosa ci garantisce che questi progetti verranno portati a termine nel caso finissero i fondi pubblici? Dopotutto non sono un mistero le cattedrali nel deserto lasciate incompiute ed abbandonate una volta terminati i fondi nel nostro paese. Nel caso, invece, un progetto venisse terminato e lo studentato aperto, cosa garantisce agli studenti e alle studentesse che, una volta finita la copertura dei tre anni, il privato abbia ancora interesse nel tenere aperta la struttura? Nei punti possiamo leggere di un “utilizzo flessibile” per gli studentati. Cosa garantisce che non si realizzerà un numero maggiore di alloggi per poi destinarli all’uso privato? O che quando termineranno i tre anni di coperture pubbliche il numero di stanze destinate all’utilizzo privato non aumenti per poter sopperire i costi, a discapito della popolazione studentesca fuorisede? Inoltre, su quali criteri vengono decisi i canoni di affitto e soprattutto chi garantisce che rimarranno sempre gli stessi nel tempo? Per la manutenzione della struttura dopo i tre anni della copertura, il privato come si comporterà nel caso non ci fossero fondi della regione? Baderà a spese sulla manutenzione, semplicemente non la farà oppure chiuderà la struttura perché non più conveniente?
A ben vedere, i punti del PNRR in merito agli alloggi universitari permettono solo una dinamica di speculazione del privato sull’interesse collettivo, mentre non viene garantita in alcun modo la costruzione di un patrimonio pubblico utile e funzionale al diritto allo studio per gli studenti e le studentesse delle famiglie delle classi popolari.
La situazione degli alloggi universitari. Il piano del PNRR è sufficiente?
Come è la situazione degli alloggi universitari al momento? Stando ai dati dell’anno accademico 2019/2020, su 570.000 fuori sede (il 33% della popolazione studentesca universitaria) ci sono solo 42,732 posti alloggio, di cui 3.950 indisponibili a causa delle misure di sicurezza impiegate per la pandemia da Covid-19 (le stanze doppie sono state adibite a singole) a partire da novembre 2020. Di questi posti poi, solo 28,933 sono stati assegnati ai borsisti e agli idonei. A conti fatti quindi, solo il 5% degli studenti e delle studentesse fuorisede riesce ad avere un alloggio, mentre alla totalità degli iscritti gli alloggi universitari sono accessibili solo per il 3%. Una situazione grave che vede le famiglie delle classi popolari in balia del caro-affitti (che nelle città universitarie superano i 400€ mensili) e della paga degli affitti in nero con il beneplacito di palazzinari e speculatori. In ogni caso, circoscrivere la questione solo ai fuori sede sarebbe riduttivo dato che anche gli studenti e le studentesse pendolari – soprattutto nel Meridione – scontano la grave situazione dei trasporti nel nostro paese, che spesso non è tenuta in conto nemmeno dalla prassi di definire gli studenti come “fuori sede” semplicemente in base alla distanza in linea d’aria, e non al tempo effettivo di spostamento.
Dati i numeri appena analizzati possiamo vedere come la proposta del PNRR varato dal Governo Draghi sarebbe comunque insufficiente, dato che copre a malapena 1/5 degli universitari fuorisede, ma del resto la sua funzione non è quella di garantire il diritto allo studio.
Il governo ancora una volta dimostra come sia piegato agli interessi dei padroni e ai loro profitti ignorando le problematiche degli studenti e delle studentesse delle famiglie degli strati popolari. Ora più che mai è arrivato il momento di lottare contro l’università di classe e per il diritto allo studio, che deve essere garantito anche e soprattutto attraverso mense e alloggi al servizio degli studenti e delle studentesse e non al servizio dei padroni per mere manovre speculative.