di Giovanni Ragusa
Con una nota dell’8 dicembre da parte di Chris Hood, presidente di Kellogg’s Nord America, l’8 dicembre l’azienda leader nel settore dei cereali ha dato il benservito a 1400 operai nei suoi stabilimenti statunitensi di Michigan, Nebraska, Pennsylvania e Tennessee. Qui, i lavoratori sono in sciopero da ottobre, ma in rotta di collisione con la dirigenza aziendale da molto prima: denunciano infatti condizioni di lavoro oltre ogni limite di sopportazione umana, con turni settimanali da 80 ore, 7 giorni su 7, talvolta “da 100 a 130 giorni di fila. Per 28 giorni le macchine funzionano, poi tre giorni di riposo per la pulizia. Trattano meglio i loro macchinari” come denuncia il caposezione del sindacato locale Trevor Bieldman. Scenari che rimandano alla mente l’orribile situazione della Texprint di Prato, ma che ormai, nel clima di ristrutturazione capitalistica globale, potrebbe ritrovarsi in molti luoghi di lavoro.
Alla Kellogg’s, come altrove, l’azienda ha proposto un accordo al ribasso cercando di comprare i dipendenti con un aumento salariale del 3%, offerta che è stata prontamente respinta ovviamente, non intaccando tale proposta il sistema bestiale di sfruttamento che regna nelle fabbriche interessate dalla mobilitazione. Sempre Chris Hood ha commentato la vicenda affermando: “Abbiamo l’obbligo verso i nostri clienti e consumatori di continuare a fornire i cereali che conoscono e amano”, testimoniando la classica supponenza padronale che prova a mascherarsi dietro le leggi del mercato, mentre abbrutisce irrimediabilmente la vita di lavoratori e lavoratrici. La Kellogg’s, adesso, ha già iniziato ad assumere manodopera esterna per rimpiazzare i 1400 scioperanti, che però non hanno intenzione di arrendersi e stanno continuando la loro lotta.
Il caso Kellogg’s lancia un importante spunto di riflessione. Da anni nel nostro paese si sta cercando di superare il modello di relazioni industriali che si era instaurato nel Novecento. Dagli anni Novanta, infatti, tramite diverse riforme varate da governi di ogni colore politico, gran parte delle tutele conquistate dalle lotte operaie sono state cancellate. Allo stesso modo, si è cercato di arrivare a un modello concertativo che non lasciasse spazio a margini di conflittualità nei luoghi di lavoro. Ovviamente questo non è avvenuto di colpo e ovviamente la situazione statunitense – caso Kellogg’s – e quella italiana sono differenti. Tuttavia, è proprio a quel modello che anche nel nostro paese si sta guardando. Ne sono testimoni tutti i vari tentativi di attacco al diritto di sciopero, diretti soprattutto ai sindacati più conflittuali ma che ora si stanno indirizzando anche contro lo sciopero generale di 8 ore indetto da Cgil e Uil per il 16 dicembre.
Una vicenda che, come detto, non è tanto dissimile da quelle che anche in Italia si sono viste con grande ricorrenza negli ultimi 2 anni, e che testimonia quanto debba rafforzarsi l’iniziativa internazionalista per far fronte all’attacco padronale ai diritti della classe lavoratrice che viene portato avanti in maniera generalizzata da una parte all’altra del globo.