Giovedì 16 dicembre è andato in scena lo sciopero generale nazionale di 8 ore indetto da CGIL e UIL. Gli unici settori esclusi sono stati la sanità (per scelta dei sindacati vista la situazione pandemica), la scuola e l’igiene ambientale (vista la vicinanza allo sciopero del 10 dicembre). Era dal 14 dicembre 2014 che i sindacati confederali – anche allora senza l’adesione della CISL – non organizzavano un’astensione collettiva dal lavoro in almeno un intero turno. Se sette anni fa ci si opponeva al Jobs Act, oggi i sindacati protestano contro una legge di bilancio che consiste nell’ennesimo attacco ai diritti della classe lavoratrice e delle masse popolari da parte del governo Draghi.
Il clima, però, è tutt’altro che conflittuale. Landini e Bombardieri, rispettivamente segretari di CGIL e UIL, hanno spiegato che questo sciopero vuole essere costruttivo, riconoscendo l’impegno dell’esecutivo a trattare ma puntando il dito verso le poche misure espansive in favore delle fasce più deboli. «Il fatto è che dalla pandemia non si esce con le stesse ingiustizie ma con nuovo modello sociale e di lavoro. L’obiettivo è la costruzione di una nuova giustizia sociale ed economica» ha affermato Landini. «È vero che con Draghi c’è stato un dialogo costante ma è vero anche che mai nessun governo prima aveva avuto questa disponibilità economica e che le decisioni prese non investono le risorse nella direzione di ridurre le disuguaglianze» ha rilanciato Bombardieri. Altrettanto emblematiche dell’impostazione che le dirigenze dei due sindacati hanno dato all’astensione dal lavoro è la disponibilità dimostrata da entrambi i segretari nel ritirare lo sciopero qualora ci fosse stata un’apertura maggiore al dialogo, ma d’altronde parliamo degli stessi che hanno accettato in silenzio lo sblocco dei licenziamenti, partecipando attivamente all’opera di santificazione dell’esecutivo Draghi mentre migliaia di lavoratori venivano sbattuti in mezzo a una strada.
Se questa è l’impostazione data dalle dirigenze confederali, questo sciopero lancia alcuni spunti interessanti. Innanzitutto, l’adesione allo sciopero – al di delle cifre – è stata costruita più dalla copertura mediatica data allo stesso, sicuramente maggiore di quella riservata allo sciopero generale indetto dal sindacalismo di base per l’11 ottobre, che all’effettivo impegno organizzativo dei sindacati. In secondo luogo, è stato importante, infatti, che in piazze partecipate da lavoratori ci fossero quelle vertenze che da mesi rappresentano l’avanguardia di lotta della classe lavoratrice. Stiamo parlando del Collettivo di Fabbrica GKN di Campi Bisenzio (FI), sceso in piazza a Roma, in uno spezzone importante che ha visto la partecipazione di molti giovani che studiano e lavorano con il Fronte della Gioventù Comunista. Ma presenti erano anche realtà da altre vertenze, dalla Whirlpool di Napoli alla Alitalia-ITA, passando anche per la più recente Caterpillar di Jesi (270 persone che resteranno senza lavoro). Da menzionare poi, anche l’importante messaggio lanciato dal Si Cobas, tornato davanti ai cancelli della Unes di Vimodrone (MI) contro i 49 licenziamenti politici, nonostante la dura risposta che ogni volta arriva da parte delle forze dell’ordine.
Se le dirigenze di CGIL e UIL cercano di ritagliarsi uno spazio di manovra che possa influenzare di più l’andamento del PNRR, in piazza hanno manifestato lavoratori e lavoratrici che genuinamente protestano contro una legge di bilancio che con la modifica degli scaglioni dell’IRPEF va a tutelare i redditi più elevati; che mira ad alzare l’età pensionabile; che in nessun modo cerca di porre fine alla piaga del lavoro precario e sottopagato; che punta all’abolizione dell’IRAP, un’imposta tramite cui si finanzia la sanità pubblica, scaricandone i costi sulla fiscalità generale e quindi sulle spalle dei lavoratori. Ed è proprio su questa differenza che sta il nocciolo della questione. Le dirigenze di CGIL e UIL, nei fatti, hanno convocato uno sciopero con solo una settimana di preavviso, andando così a comprometterne l’organizzazione (e una riuscita migliore), senza contare la vicinanza allo sciopero del 10 dicembre – incluso quello della scuola – che ha permesso alla Commissione di garanzia sull’attuazione della legge sullo sciopero di impedire ad alcune categorie di scioperare. Tutto questo avviene dopo mesi in cui è stata attivamente promossa la retorica della pace sociale e dell’unità nazionale, in cui, nonostante un attacco ai diritti dei lavoratori senza precedenti, i confederali hanno chiesto di collaborare per la ripartenza del paese.
Sorgono, quindi, alcune domande. Che tipo di sciopero serve? Serve fermarsi per 8 ore e nulla più? Di quale sindacato hanno bisogno i lavoratori e le classi popolari? Gli ultimi mesi hanno dimostrato che quando i lavoratori si organizzano, diventano protagonisti dell’attività sindacale, costruiscono coscienza della propria condizione fra i colleghi e stringono rapporti solidali con il territorio, allora si può resistere efficacemente, si può anche vincere. E quindi, non serve un sindacato che abbia come unica prospettiva essere la stampella sinistra di un governo che mira a scaricare i costi della ristrutturazione capitalistica sulle classi popolari. Non serve uno sciopero timido, di sole otto ore, convocato a breve termine. Se l’arco parlamentare mostra sgomento per la possibilità che i lavoratori comprendano davvero le potenzialità dello sciopero e dell’organizzazione sindacale, spetta proprio al sindacato dispiegare questa potenzialità, mostrando che esiste un’alternativa alla subordinazione agli interessi padronali, che esiste un’alternativa alla pace sociale che diventa sinonimo di massacro sociale.
I vari Landini e Bombardieri continueranno sempre sulla strada del dialogo, della ricerca del compromesso. Per questo vanno criticati, per questo vanno esplicitate le responsabilità storiche di una classe dirigente sindacale che ha reso i sindacati strumento di legittimazione, agli occhi dei lavoratori, delle peggiori politiche antipopolari e antioperaie. Per questo bisogna farla finita con la giustificazione dell’ingiustificabile, bisogna avere coraggio di dire chiaramente che negli ultimi anni, e soprattutto negli ultimi mesi, c’è stata un’aperta collaborazione dei sindacati confederali con i governi di turno e con la Confindustria, sacrificando i diritti dei lavoratori in nome degli interessi padronali.
Il punto ora è rivolgersi direttamente ai lavoratori – sindacalizzati e non, che hanno scioperato e che non l’hanno fatto – per creare un’interlocuzione con quelle avanguardie di lotta che negli ultimi mesi hanno difeso i propri posti di lavoro a costo di subire una repressione poliziesca e giudiziaria molto dura. Ed è proprio questa interlocuzione che può far luce sull’odierno processo di ristrutturazione della produzione a favore dei padroni, che può chiarire come l’unica via percorribile sia quella dell’organizzazione, della rottura dell’isolamento a cui sono stati condannati gli operai impegnati in vertenze durissime, dalla condanna della politica di pace sociale praticata dalle dirigenze sindacali. Perché non ci può essere nessuna pace sociale di fronte ai 1100 lavoratori morti nel 2021, uno ogni otto ore.