* di Lorenzo Vagni
Con un altro anno giunto al termine è possibile trarre dei bilanci. In particolare, in un contesto di continuo attacco a salari e pensioni, di esplosione del carovita e di estreme difficoltà economiche per milioni di persone nel nostro paese, risulta utile effettuare una stima dei costi a carico dello Stato italiano derivanti dai rapporti con la Chiesa Cattolica.
Uno studio riguardo tali costi pubblici realizzato dall’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti mostra numeri impressionanti: ammonta infatti a poco meno di 7 miliardi di euro l’anno il costo pubblico minimo della Chiesa e delle associazioni cattoliche ad essa legate. Una cifra impressionante, che risulterebbe determinante se assegnata ad altro tipo di spesa, come ad esempio l’istruzione, la previdenza o l’edilizia popolare.
In particolare, lo studio suddivide tale costo secondo le varie fonti di spesa, esenzioni o benefici:
Fonte di oneri / mancati introiti per lo Stato italiano | Importo |
Insegnamento della religione cattolica nelle scuole | 1.250.000.000 € |
Otto per mille | 1.131.196.216 € |
Esenzioni IMU (ICI, TARES, TASI) | 620.000.000 € |
Contributi delle amministrazioni locali alle scuole cattoliche | 500.000.000 € |
Contributi statali alle scuole cattoliche | 430.000.000 € |
Servizi appaltati in convenzione ad organizzazioni cattoliche | 300.000.000 € |
Altri contributi erogati dai Comuni | 257.000.000 € |
Altri contributi erogati dalle Regioni | 242.200.000 € |
Benefici concessi da enti, fondazioni e società a partecipazione pubblica | 200.000.000 € |
Beni immobili statali adibiti a edifici di culto | 200.000.000 € |
Convenzioni pubbliche con la sanità cattolica | 167.000.000 € |
Cambi di destinazione d’uso | 150.000.000 € |
Riduzione IRAP | 150.000.000 € |
Utilizzo dei fondi strutturali europei | 107.000.000 € |
Altri contributi statali | 100.000.000 € |
Esenzioni IVA | 100.000.000 € |
Riduzione IRES | 100.000.000 € |
Contributi comunali per l’edilizia di culto (oneri di urbanizzazione secondaria) | 94.100.000 € |
Pensioni | 85.000.000 € |
Interessi sul debito | 72.000.000 € |
Altri contributi erogati dalle Province | 70.700.000 € |
Cinque per mille | 54.500.000 € |
Contributi regionali agli oratori | 50.000.000 € |
Altre esenzioni fiscali e doganali | 45.000.000 € |
Contributi statali alle università cattoliche | 41.827.905 € |
Sicurezza delle gerarchie e delle proprietà ecclesiastiche | 40.000.000 € |
Contributi regionali per i cappellani negli ospedali | 35.000.000 € |
Contributi statali all’editoria cattolica | 31.000.000 € |
Contributi statali per i cappellani nelle Forze armate | 20.000.000 € |
Servizio civile | 20.000.000 € |
Spese straordinarie delle amministrazioni locali in occasione di importanti eventi cattolici | 20.000.000 € |
Edifici di proprietà comunale concessi a condizioni di favore a enti e associazioni cattoliche | 15.000.000 € |
Ambasciate presso la Santa Sede | 10.000.000 € |
Esenzioni IRPEF per erogazioni liberali | 10.000.000 € |
Contributi statali per i cappellani nella Polizia di Stato | 9.000.000 € |
Contributi statali per i cappellani nelle carceri | 8.000.000 € |
Tariffe postali agevolate | 7.500.000 € |
Contributi comunali per i cappellani cimiteriali | 6.000.000 € |
Consumi idrici ed energetici del Vaticano | 5.000.000 € |
Benefici statali per gli oratori | 2.500.000 € |
Benefici statali sulle pubbliche affissioni | 2.000.000 € |
Sconti comunali per l’accesso a zone a traffico limitato | 2.000.000 € |
Cerimonie di culto in orario di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, negli enti e nelle società controllate dallo Stato | 1.500.000 € |
Legge “mancia” | 1.000.000 € |
Finanziamenti statali all’associazionismo sociale | 880.128 € |
Riduzione del canone TV | 370.000 € |
Contributi statali per i “grandi eventi” della Chiesa cattolica | concessi in altre forme |
Otto per mille di competenza dello Stato | variabile |
TOTALE | 6.764.274.249 € |
Come si evince dalla tabella, la principale fonte di spesa pubblica è l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, per un totale di circa 1,25 miliardi di euro. Secondo i calcoli della Corte dei Conti del 2012 sarebbero 13.675 gli insegnanti di religione cattolica a tempo indeterminato in ruolo a fine 2010, per un totale di 287.143 ore di insegnamento annue. La restante parte delle 548.808 ore totali richieste a livello nazionale viene coperta da personale a tempo determinato.
L’intesa tra Italia e Vaticano del 2012 stabilisce che l’insegnamento della religione cattolica «deve essere impartito in conformità alla dottrina della Chiesa da insegnanti riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica e in possesso di qualificazione professionale adeguata». Il diritto canonico stabilisce altresì che «l’Ordinario del luogo si dia premura che coloro, i quali sono deputati come Insegnanti della Religione nelle scuole, anche non cattoliche, siano eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica». Ciò comporta che lo statuto dell’idoneità sia conferito dai vescovi secondo criteri puramente arbitrari, con le competenze spesso sacrificate a favoritismi e interessi della Chiesa. La nomina da parte delle diocesi favorisce inoltre i docenti di fede cattolica, istituzionalizzando così un’evidente discriminazione sul lavoro sulla base della fede religiosa.
Allo stesso modo gli insegnanti devono ricevere ogni dodici mesi un nullaosta da parte dell’autorità diocesana per mantenere il posto, dal quale possono essere rimossi arbitrariamente per condotte in contrasto con le posizioni della Chiesa, che nulla hanno a che fare con le capacità nell’insegnamento. Un esempio eclatante fu quello nel 1998 di un’insegnante di Firenze rimossa dal proprio incarico su decisione della Curia perché in stato di gravidanza fuori dal matrimonio. Nel 2003 la Corte di Cassazione le negò il reintegro, non riconoscendo peraltro il suo come licenziamento, ma come estinzione del rapporto, a causa del mancato rinnovo dell’idoneità, in quanto l’insegnamento rientra esclusivamente nella giurisdizione ecclesiastica.
Va considerato che la retribuzione dei docenti di IRC è più alta degli insegnanti normali, e che i precari che insegnano religione cattolica sono gli unici a godere di scatti maturati biennalmente. Agli stipendi degli insegnanti si sommano convenzioni stabilite dalle amministrazioni comunali e libri di testo nei casi in cui questi risultino a carico delle scuole. Una spesa tale a carico della collettività viene destinata a un insegnamento non formativo, che costituisce un canale che la Chiesa utilizza per diffondere il suo pensiero, che spesso coincide con la più generale ideologia borghese, all’interno delle scuole. Lo Stato quindi sostiene costi miliardiari per un insegnamento che mina la natura laica della scuola pubblica, e sul quale esercita un controllo nullo o estremamente ridotto in materia di programmi e personale docente.
Al secondo posto per impatto vi è l’otto per mille. Istituito dal Governo Craxi I con l’accordo di revisione del Concordato lateranense nel 1984 in sostituzione dell’assegno di congrua, ossia il pagamento degli stipendi ai sacerdoti cattolici da parte dello Stato italiano, esso destina alle confessioni religiose l’8 per mille del gettito IRPEF, calcolato in base alle scelte (sia espresse che non espresse) compiute dai contribuenti in occasione della dichiarazione dei redditi. Infatti, i contribuenti non sono tenuti ad effettuare una scelta all’atto della dichiarazione dei redditi, ma anche l’otto per mille di chi non esercita una scelta viene ripartito tra i beneficiari proporzionalmente alle scelte espresse (va considerato che mediamente la percentuale di chi esercita la scelta si aggira attorno al 40%, mentre tra chi la esercita la Chiesa Cattolica ottiene ogni anno tra il 70 e l’80% delle preferenze).
«Non affamate i preti» affermò Bettino Craxi in occasione dell’accordo ai rappresentanti del Governo italiano nel negoziato, e in effetti l’otto per mille rappresenta un regalo tutt’altro che di poco peso per il Vaticano: in una delibera del 2014 la Corte dei Conti ha infatti affermato che «I fondi destinati alle confessioni risultano ingenti, tali da non avere riscontro nelle realtà europee […] e sono gli unici che, nell’attuale contingenza di fortissima riduzione della spesa pubblica in campo, si sono notevolmente e costantemente incrementati», al punto da aver «contribuito ad un rafforzamento economico senza precedenti della Chiesa italiana.»
Nel 2019 la quota assegnata alla Chiesa Cattolica è stata di 1.131.196.216 €, di cui circa il 60% proveniente da scelte non espresse, con solo il 34,46% dei contribuenti ad aver effettuato la scelta a favore della Chiesa, a fronte di una quota assegnatale dell’80,73% dell’intero ammontare di 1.401.255.936 €. Va inoltre considerato come la quota di otto per mille destinata allo Stato possa essere allocata occasionalmente ad interventi volti alla conservazione dei beni culturali, molti dei quali di proprietà ecclesiastica.
A seguire vi è l’esenzione della Chiesa dall’IMU. La tassa da cui deriva l’IMU, ossia l’ICI, fu istituita con il Decreto legislativo n. 504 del 1992, il cui Articolo 7 stabilisce casi di esenzione, che riguardano numerosi immobili di proprietà vaticana. L’8 marzo 2004 la Cassazione stabilì che alcuni immobili destinati ad attività commerciali non potessero usufruire dell’esenzione, ma nel 2006 il Governo Berlusconi III annullò tale sentenza, estendendo l’esenzione anche a immobili adibiti a scopi commerciali, purché anche solo una piccola parte degli stessi fosse destinata ad attività religiose, nei fatti con una modifica del Concordato da parte dello Stato, in favore della Chiesa.
Tra gli immobili ecclesiastici che, tramite questo escamotage, sono stati esentati dal pagamento dell’ICI compaiono pertanto, alberghi, case di cura e pensionato, strutture sportive e ricreative, e tante altre tipologie di edifici che garantiscono introiti tutt’altro che al di sotto dei prezzi di mercato. Un regalo da centinaia di milioni di euro per un’istituzione proprietaria, secondo diverse stime, di una quota compresa tra il 15% e il 25% del valore complessivo del patrimonio immobiliare in Italia, corrispondente ad almeno 115.000 immobili. Il danno stimato nel solo periodo 2006-2012 è stato stimato tra i due e i tre miliardi di euro. Nel 2012, seppur indirettamente, l’IMU ereditò le esenzioni previste dall’ICI per gli immobili vaticani.
In aggiunta all’IMU, la Chiesa gode dell’esenzione dal pagamento di tasse quali la TASI, che accorpa tra le altre la tassa sui rifiuti (TARI). Recentemente il Parlamento, tramite una proposta di emendamento al Decreto Fiscale presentata dal Partito Democratico, ha stabilito l’esonero dal pagamento della TARI per tutta una serie di immobili di proprietà del Vaticano, tra cui basiliche e altre tipologie di edifici, anche non assimilabili a luoghi di culto, annullando anche in questo caso una sentenza della Cassazione, che riteneva dovute tali imposte.
Un’ulteriore spesa a favore della Chiesa sono i contributi pubblici a favore delle scuole cattoliche. I finanziamenti statali vengono definiti dalla legge n. 62/2000, secondo la quale le scuole paritarie private fanno parte a pieno titolo del sistema di istruzione nazionale, e devono pertanto essere finanziate. Lo stanziamento totale per il 2018 è ammontato a 493 milioni, a cui si aggiungono le detrazioni fiscali per chi iscrive i propri figli agli istituti privati, introdotte dalla riforma della Buona Scuola dal Governo Renzi, e l’accesso al cinque per mille per tali scuole. Considerando che il 60% delle scuole paritarie sono cattoliche, il loro impatto è quantificabile in 430 milioni di euro annui.
Al contributo statale si aggiunge quello erogato dalle amministrazioni locali ad ogni livello (regionale, provinciale e comunale). Essendo la provenienza di tale conferimento estremamente diversificata, è assolutamente complesso avere contezza della totalità dei fondi conferiti alla Chiesa da tutte le amministrazioni locali, ma le stime quantificano questa somma in almeno mezzo miliardo di euro, che sommata a quella derivante da contributi statali, sfiora il miliardo di euro.
Ai costi esaminati fin qui si aggiungono decine e decine di altri contributi, esenzioni e benefici che ogni anno la Chiesa Cattolica riceve dallo Stato italiano. I governi succedutisi nei decenni, espressione degli interessi dei grandi gruppi economici, di cui il Vaticano fa parte a pieno titolo, non hanno mai messo in discussione tali costi; risulta tuttavia evidente come la messa in discussione degli accordi tra Italia e Vaticano possa, e probabilmente debba, essere un tema all’ordine del giorno.