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Occupazione alla Sapienza: rispondere alla repressione con la lotta

Le ferite delle manganellate rifilate agli studenti universitari della Sapienza di Roma di questo martedì sono ancora fresche e le immagini di quella giornata fin troppo vivide. Sono passati appena due giorni e la risposta da parte degli studenti dell’Ateneo romano al violento caso di repressione non si è assolutamente fatta attendere.

Dopo che la contestazione contro il deputato in quota FdI Fabio Roscani era stata repressa dalle forze dell’ordine, la volontà di non chinare la testa è stata subito evidente. Gli studenti dapprima si sono mossi in corteo spontaneo partito dalla facoltà di Scienze Politiche e snodato per tutta la città universitaria, poi hanno convocato un’assemblea d’ateneo per il pomeriggio di ieri, giovedì 27, davanti all’ingresso della facoltà dove si erano verificati gli scontri. All’appuntamento hanno risposto circa un migliaio di studenti, numeri importanti che non si vedevano da tempo nelle mobilitazioni universitarie. Dall’assemblea sono emerse rivendicazioni condivise: le dimissioni della rettrice Antonella Polimeni, accusata di aver tenuto un atteggiamento accondiscendente verso la repressione e di non aver preso posizione in maniera netta, oltre ovviamente ad aver acconsentito allo schieramento delle forze dell’ordine che si sono rese protagoniste dell’accaduto, e la richiesta di chiudere i presìdi di polizia all’interno dell’università.

Dopo alcuni interventi, l’assemblea si è spostata all’interno dei locali della facoltà di scienze politiche, che, in maniera spontanea, si è alla fine deciso di occupare con il consenso plebiscitario di tutta l’aula in cui si stava tenendo l’assemblea.

Sono stati esposti vari striscioni, partendo da “Polimeni Dimissioni. Mai più polizia nelle università” fino ad arrivare ad un più arrembante “UN’ALTRA UNIVERSITA’. PER QUESTO, PER ALTRO, PER TUTTO” che richiama lo slogan reso famoso dal Collettivo di Fabbrica – GKN e che suona forte come un richiamo alla necessità di unire le lotte di studenti e lavoratori.

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Una giornata così combattiva è sicuramente una boccata d’aria fresca per le lotte nel mondo universitario, che sta tornando a far parlare di sé in queste settimane, ma soprattutto è la risposta più adeguata alle dichiarazioni di alcuni esponenti politici che definire vergognose è forse un complimento. Partendo dal neo ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, che ha affermato “Manganellate? No, la polizia ha fatto in modo che non ci fosse l’assalto a una cerimonia e che una manifestazione autorizzata si svolgesse liberamente”, per passare a Carlo Calenda che il giorno successivo ai fatti in un tweet ha affermato senza remore che “I fascisti ieri alla Sapienza erano dall’altra parte”, riferendosi a chi ha contestato l’iniziativa promossa da Azione Universitaria.

Due facce della stessa medaglia si potrebbe dire, dato che nei fatti non solo vanno a legittimare un uso della forza che ha trattato delle dinamiche studentesche come un problema di ordine pubblico, ma addirittura si spingono a criminalizzare la componente studentesca che ha deciso di opporsi. Un atteggiamento che si inserisce pienamente nel tentativo di normalizzare la repressione contro le avanguardie di lotta che almeno dall’inizio della pandemia si è vista crescere in intensità e frequenza, e che rivela quale sarà il clima delle future lotte autunnali con questo governo.

Tra le tante dichiarazioni di condanna per la violenza espressa dalle forze dell’ordine martedì, non sono passate inosservate quelle di Giuseppe Conte e dei parlamentari Cecilia D’Elia e Francesco Verducci (entrambi in quota PD), come si evince dall’intervento del FGC, una delle principali organizzazioni promotrici dell’assemblea: “vorremmo chiedere a chi oggi si sveglia all’opposizione e ci esprime solidarietà per quanto avvenuto martedì dove era l’anno scorso quando venivamo presi a manganellate con gli studenti medi per la morte di due ragazzi in alternanza scuola-lavoro”.

Una presa di posizione importante, poiché condanna nettamente il tentativo di intestarsi l’opposizione al governo da parte di chi, negli ultimi anni, ha usato esattamente gli stessi metodi. Non bisogna infatti dimenticare che c’è la firma di Giuseppe Conte in calce ai Decreti Sicurezza che oggi sono il principale strumento di criminalizzazione delle lotte, prosecuzione di un processo avviato già dalla riforma Minniti (PD). Né tantomeno si può dimenticare la brutale repressione adoperata dal governo Conte e poi da quello Draghi contro le avanguardie operaie e sindacali durante gli anni della pandemia.

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Ora la volontà degli studenti è non fermare lo stato di agitazione, ma estenderlo e generalizzarlo. Già nelle prossime ore saranno infatti rilanciate una conferenza stampa, un’assemblea studentesca e nuove forme di lotta per uscire anche dal perimetro delle rivendicazioni attuali e legarle con i temi dell’università-azienda, la crisi economica, la guerra e il nuovo governo.

La lotta degli studenti universitari, infatti, non può restare ripiegata sulle mere dimissioni della rettrice o non estendersi mai oltre le mura dell’Università La Sapienza. Il problema della repressione è sempre più generalizzato e come giustamente notano gli studenti fa parte di una strategia per impedire lo sviluppo di lotte contro le riforme lacrime e sangue che proporrà il Governo Meloni, il carovita, la speculazione energetica e la prosecuzione del conflitto imperialista in Ucraina.

La rabbia per i fatti di Scienze Politiche dovrà essere organizzata per estendersi, trovare continuità a Roma ed appoggio in tutta Italia, legandosi alle altre lotte al momento attive nelle università, ma soprattutto inserendosi in quel ciclo di mobilitazioni autunnali che stanno tracciando la strada da percorrere. L’opposizione alla guerra imperialista ed alle politiche di ristrutturazione capitalistica, le lotte degli studenti e quelle contro la repressione, dovranno convergere per sfociare nello sciopero generale del 2 dicembre. Per il momento, non si può che augurare il meglio agli studenti romani, che dopo Cagliari, Catania e Torino stanno dimostrando che anche nelle università, non si è più disposti a chinare la testa.

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