Di Ruggero Caruso
Per ben 4 giorni nel porto di Catania sono rimaste attraccate le ONG Geo Barents e Humanity 1. Ad un iniziale blocco totale degli sbarchi è seguita una ormai tristemente celebre selezione tra gli immigrati “meritevoli” di accoglienza e quelli da respingere. Nel primo campo, solo donne, bambini e uomini in condizioni di salute precaria, nel secondo tutti gli altri: questi ultimi sono stati costretti a bordo per 4 giorni, in condizioni di sovraffollamento e assenza di requisiti minimi di igiene, impossibilitati a scendere o avere contatti al di fuori di quelli predisposti dalle autorità. Di fronte a questa situazione tragica, sin da subito decine di studenti, lavoratori, associazioni e organizzazioni politiche del territorio si sono radunate davanti ai cancelli del molo 10 dove erano ancorate le navi, dando vita ad un presidio permanente che non si è smobilitato fino allo sbarco di tutti gli immigrati rimasti a bordo delle due navi. Lo sbarco, ottenuto anche grazie alla visibilità che lo straordinario moto di solidarietà ha dato alla vicenda, non può certamente considerarsi una vittoria politica: infatti, il criterio perseguito per permettere agli immigrati di scendere dalla nave è stato quello dell’analisi medica per accertarne i disagi psico-fisici (scontati dopo oltre 15 giorni in mare). Un precedente pericoloso che si riproporrà certamente in situazioni simili. Per questo motivo è stata chiamata dal presidio di solidarietà una grande manifestazione Regionale a Catania per il prossimo 12 novembre.
Davanti a questa tragedia umanitaria si è consumato l’ennesimo grottesco teatrino di propaganda politica. Nulla di nuovo: sono ben saldi nei ricordi di tutti i giorni di agosto 2018 in cui il primo governo Conte, con l’allora ministro degli interni Salvini, si oppose allo sbarco della nave Diciotti, generando un ampio movimento di protesta che fu attaccato da violente cariche della polizia. Il nuovo Governo Meloni dimostra di non essere da meno, sfruttando in pieno questa situazione per dar seguito a uno dei punti principali del programma elettorale del centrodestra. Allo stesso tempo, però, l’aver scelto di affrontare la questione con tali modalità ha avuto come effetto quello di canalizzare il dibattito pubblico del momento sulla questione accoglienza-respingimento: di fronte all’emergere delle prime importanti avvisaglie di un innalzamento dello scontro sociale, infatti, scaricare le tensioni su un problema del genere facendolo passare per elemento imprescindibile di preservazione dell’ordine pubblico è una scelta certamente conveniente al governo Meloni. L’uso del porto di Catania come teatro di questa squallida operazione non è affatto casuale d’altronde.
In questa gara dello squallore non è mancata neanche la passerella politica del centrosinistra: deputati e onorevoli del Partito Democratico e di Sinistra Italiana si sono avvicendati al molo 10 del porto di Catania alla ricerca di qualche telecamera che gli concedesse uno spazio televisivo, nel tentativo disperato di riciclarsi e riguadagnare una qualche verginità politica ora che sono all’opposizione. Ma i presenti sanno bene che il nemico non è rappresentato solo dal centrodestra, ed infatti la risposta non si è fatta attendere. Tra le tante realtà presenti per tutta la durata del presidio anche il Fronte della Gioventù Comunista (FGC), che attraverso vari interventi ha infatti evidenziato come la presenza del PD sia la presenza del partito del Memorandum Italia-Libia del 2017 e del sostegno delle politiche securitarie perseguite dall’Unione Europea attraverso l’agenzia Frontex, i cui trattamenti disumani sono noti ai più. Di fronte a questi tentativi di intestarsi piazze e rivendicazioni mosse da una sincera opposizione, insomma, il messaggio è sempre più chiaro: non c’è spazio per chi fino all’altro giorno ha fatto esattamente le stesse politiche, ed ora prova a lavarsi la faccia.
Di fronte a questo avvenimento, il rischio è che il dibattito finisca per focalizzarsi su un piano fuorviante, finendo per svilupparsi sulla falsa distinzione tra profughi e clandestini. Una simile retorica non fa altro che spostare il problema dal suo vero baricentro. Contrastare simili dinamiche, piuttosto, deve muovere da una consapevolezza ben diversa. Le migrazioni vanno riconosciute prima di tutto come frutto delle politiche dell’imperialismo, che depredano e affamano i popoli per gli interessi dei grandi monopoli. Le migliaia di persone che abbandonano la loro terra lo fanno, prima di tutto, perché sono i padroni di casa nostra a distruggere i loro paesi d’origine: lo vediamo sotto i nostri occhi con le presenze massicce dell’ENI tra Africa e Medio Oriente, che per assicurarsi giacimenti e fette di mercato è stato sostenuto dallo stato italiano con le varie missioni speciali in queste aree del globo, sfruttando situazioni di instabilità che negli anni sono solo state aggravate ulteriormente. Tutelare le vite di queste persone, dunque, non può e non deve significare romanticizzare il fenomeno dell’emigrazione, così come per risolvere le cause che ne sono alla base non è sufficiente contrapporre una logica esclusivamente umanitarista.
La lotta per evitare che situazioni del genere si ripropongano, piuttosto, deve muoversi nei binari della lotta di classe all’imperialismo, poiché chi crea guerre, instabilità e condizioni di sfruttamento disumane nei paesi da cui proviene questa gente, sono gli stessi che quotidianamente sfruttano, affamano, distruggono l’ambiente e causano guerre anche in casa nostra.