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Decreto anti-rave: il Governo Meloni attacca le lotte sociali

Non sono trascorse nemmeno due settimane dall’emanazione del controverso “decreto anti-rave”, ma tanto è bastato per far scomparire l’attenzione dell’opinione pubblica rispetto ai suoi aspetti fortemente lesivi della libertà di manifestare. A maggior ragione, vale perciò la pena tornare sull’argomento, con l’obiettivo di tenere alto il dibattito e fornire un contributo per costruire un’opposizione all’art. 434-bis, perché le modalità di approvazione del decreto che lo ha introdotto e i suoi contenuti sono un segnale di evidente incremento dei livelli di repressione e autoritarismo nel nostro paese che non può essere ignorato.

Le modalità di emanazione del decreto

L’introduzione attraverso la legislazione d’urgenza, tramite lo strumento del decreto-legge, del nuovo reato di “invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi” (inserito nel codice penale come art. 434-bis) è avvenuta in fretta e furia nella serata del 31 ottobre grazie anche ad un’abile strumentalizzazione mediatica nei giorni in cui a Modena si sarebbe dovuto tenere un rave party per Halloween. L’ordinamento giuridico italiano prevede la possibilità di ricorrere ai decreti-legge soltanto in casi di “necessità e urgenza” poiché questi, consentendo al Governo di promulgare un atto avente forza di legge senza una votazione in Parlamento, devono essere atti finalizzati a gestire situazioni straordinarie che determinano uno stato d’eccezione del normale funzionamento di una democrazia parlamentare.

A prescindere da qualsiasi considerazione sui “free party” e rifiutando qualsiasi narrazione securitaria, è assolutamente evidente che il sovradimensionamento ossessivo del fatto in sé, e più in generale del fenomeno dei rave, sia avvenuto proprio per consentire a Meloni e al Ministro degli Interni Piantedosi di poter rafforzare l’idea di una necessità e un’urgenza nell’emanare l’atto in questione. Molto difficilmente, infatti, un fenomeno di questo tipo, che secondo alcune testate riguarda un centinaio di feste l’anno, senza quella costruzione mediatica sarebbe potuto passare come un problema urgente da gestire. Una scelta, quella della legislazione d’urgenza, che stride ulteriormente se si pensa a quelle che dovrebbero essere le vere urgenze nel nostro paese: le morti sul lavoro che si quantificano in più di tre al giorno ormai stabilmente, la disoccupazione, l’incremento della povertà assoluta e relativa, l’emergenza abitativa… e si potrebbe continuare ancora per molto. 

A mettere dubbi ulteriori rispetto all’urgenza di emanare un nuovo provvedimento c’è anche il fatto che il raduno di Modena è stato sgomberato senza incidenti a prescindere dal “decreto anti-rave”, a testimonianza di come le autorità già disponevano di tutti gli strumenti giuridici penali e amministrativi per gestire quel tipo di situazioni. Tra tutti, si segnala proprio il reato di “invasione di terreni ed edifici” di cui all’art. 633 del codice penale, già esistente e di solito applicato anche per i rave party, che era stato modificato proprio dalla Lega col noto “Decreto Sicurezza”, che ne ha inasprito le pene.

A questo punto la narrazione del Governo, secondo cui l’Italia sarebbe costantemente presa d’assalto da orde di giovani fuori controllo, pronti ad organizzare pericolosi raduni in ogni edificio e in ogni angolo del Paese, regge poco. È evidente che un fenomeno secondario, sporadico e marginale è stato sovradimensionato, ingigantito e usato come scusa per introdurre un nuovo reato le cui reali finalità sono ben altre.

Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio, con Matteo Piantedosi, Ministro dell'Interno e artefice del decreto
Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio, con Matteo Piantedosi, Ministro dell’Interno e artefice del decreto

Il contenuto della norma

Dando uno sguardo al testo del nuovo art. 473 bis appare subito chiaro che più che “decreto anti-rave”, un nome più corretto sarebbe “decreto anti-raduni” o “decreto anti-lotte”.

La disposizione del nuovo delitto non fa alcun accenno alle “feste illecite” e si fonda su una nozione più ampia e vaga di raduno, da intendere come generica riunione programmata e aperta ad un numero indeterminato di persone superiore a cinquanta, di qualsiasi tipo e per qualunque motivo, che presenta potenziali pericoli per l’ordine, la sicurezza e la salute pubblica. Le condotte incriminate sono quelle di organizzazione e promozione del raduno preceduto dall’invasione arbitraria oltre che la sola partecipazione. La formulazione del fatto di reato, per cui “L’invasione di terreni o edifici per raduni  pericolosi […] consiste nell’invasione  arbitraria  di  terreni  o  edifici  altrui, pubblici o privati, commessi […] allo scopo di organizzare un raduno, quando  dallo  stesso può derivare un  pericolo […]”, è indeterminata. Ciò è difficilmente frutto di una svista, ma anzi serve proprio a rendere più flessibile l’interpretazione delle fattispecie concrete a cui applicare il reato, in modo da lasciare margini di intervento più ampi alle forze dell’ordine e ai pubblici ministeri. 

La formula “può derivare un pericolo”, in particolare, potrebbe essere interpretata in termini di pericolo solo potenziale per l’ordine, la sicurezza o la salute pubblica, o addirittura presunto, nel senso di considerarlo sussistente per il solo fatto che si sia verificata un’invasione arbitraria finalizzata al raduno, anche se in concreto il pericolo non c’è. I reati che ugualmente puniscono condotte pericolose ma esigono l’accertamento in concreto sono formulati infatti in modo diverso (ad esempio “se dal fatto deriva pericolo” o “in modo pericoloso per…”). L’intento ancora una volta è quello di consentire margini di intervento repressivo preventivi anticipati più larghi possibile, senza dover perdere troppo tempo a dimostrare in modo rigoroso, sulla base delle specifiche circostanze, un certo raduno sia pericoloso, essendo sufficiente che esso possa potenzialmente presentare un vago pericolo per l’ordine pubblico, di per sé interpretabile in senso molto ampio.

L’art 434-bis è punito con la reclusione da tre a sei anni oltre alla multa, con la previsione di un’attenuante per la sola partecipazione, in maniera eccessiva e irragionevole. Tanto per rendere l’idea, un reato molto simile, quello di “radunata sediziosa” (art. 655 c.p.) elaborato durante il fascismo, è punito con l’arresto fino ad un anno. L’associazione per delinquere (art 416 c.p.), che può essere finalizzata a commettere delitti ben più gravi di semplice un raduno preceduto da un’invasione arbitraria, è punita in modo molto simile con la reclusione da tre a sette anni. Impietoso, poi, il paragone con le irrisorie sanzioni previste per violazioni molto più gravi. Si pensi a casi come quello di Luana D’Orazio, lavoratrice deceduta a seguito di un incidente causato dal malfunzionamento del macchinario cui era addetta: i proprietari, ritenuti responsabili della manomissione dei sistemi di sicurezza, sono stati condannati a due anni di reclusione a seguito di un patteggiamento. Ancora una volta ciò non è casuale. Al contrario, è evidente il ruolo tutt’altro che super partes di una giustizia che, come nei casi dell’ex ILVA di Taranto o del rogo della Thyssenkrupp di Torino, degli arresti di sindacalisti combattivi, delle accuse di associazione a delinquere rivolte ai disoccupati organizzati, ha un carattere marcatamente di classe. 

La previsione di una pena massima per il reato non inferiore a tre anni, oltre all’inserimento di questo delitto tra quelli contro la pubblica incolumità, consente l’arresto obbligatorio in flagranza ed esclude la sospensione condizionale della pena. Il massimo edittale di 6 anni permette l’applicazione della custodia cautelare in carcere, l’utilizzo delle intercettazioni ed esclude che possa operare la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto. L’art 434-bis poi estende agli indiziati di questo reato l’applicazione delle misure di prevenzione. Si arriva così all’assurdo risultato per cui all’organizzatore, ma anche al partecipante ad un raduno preceduto da un’invasione arbitraria, sarà possibile applicare la sorveglianza speciale, gli obblighi di firma e i divieti di dimora, come avviene per gli indiziati per reati di criminalità organizzata e terrorismo. Inoltre è prevista la confisca obbligatoria “delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato […] nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione”, una formula ampia che può estendersi persino ai mezzi usati per raggiungere il luogo del raduno, a fronte di fatti di minima gravità.

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A sinistra, Marco Minniti (PD), Ministro dell’Interno dal dicembre 2016 al giugno 2018; a destra, Matteo Salvini (Lega), Ministro dell’Interno dal giugno 2018 al settembre 2019. Si tratta dei due autori dell’architettura repressiva su cui si innesta l’attuale decreto anti-rave.

Quali implicazioni per i movimenti di lotta e quale risposta

Fatte queste premesse è chiaro che l’art. 434-bis è l’ultima aggiunta ad un armamentario repressivo costruito progressivamente nel tempo con una serie di interventi normativi a partire dai decreti Minniti, targati PD, passando per i “decreti Sicurezza” promossi dal governo Lega-M5S. Al di là dei fantomatici rave party, il vero bersaglio è rappresentato dalle lotte degli studenti, dei lavoratori e dei disoccupati, secondo una logica per cui le questioni sociali sono problemi di ordine pubblico e vanno stroncate con la repressione. Non è un caso che proprio il reato di “invasione di terreni o edifici” sia uno di quelli storicamente più contestato a seguito della messa in pratica di alcune forme di lotta come occupazioni (anche simboliche), picchetti, blocchi e simili nell’ambito delle mobilitazioni portate avanti dai movimenti di lotta. 

Il presidio permanente in fabbrica mantenuto dai lavoratori GKN, l’occupazione simbolica dell’aeroporto di Genova da parte degli operai Ansaldo alcune settimane fa, quella più recente della facoltà di Scienze politiche della Sapienza e quelle degli edifici scolastici spesso condotte dagli studenti, così come i picchetti di solito organizzati dai lavoratori della logistica davanti ai magazzini, sono tutte forme di lotta che l’art. 434-bis può criminalizzare. A prescindere degli esiti degli eventuali procedimenti penali, dato che gli argomenti contro l’applicazione del nuovo reato a queste forme di protesta non mancano (dalla prova del dolo a quella della pericolosità del raduno), l’effetto è comunque quello di intensificare la repressione andando ad agire sia su un piano esplicito che vede colpire penalmente chi mette in campo queste forme di lotta, sia su un piano implicito inteso come deterrente alla partecipazione visti i rischi legali. 

Risulta palese anche la sproporzione di questa norma, al punto che persino importanti associazioni del mondo della giurisprudenza hanno espresso forti dubbi sulla costituzionalità di molti aspetti del decreto e sulla stessa modalità con cui è stato varato, forse violando alcuni dei principi fondamentali su cui poggia l’ordinamento statuale italiano. Una dimostrazione di come, di fronte alla necessità di inasprire la repressione contro il dissenso sociale e la conflittualità dei lavoratori, degli studenti, delle fasce popolari, i governi siamo disposti a forzare apertamente persino alcuni dei principi e le procedure sui cui si fonda la stessa democrazia borghese finendo per restringere in maniera sempre più palese gli spazi democratici. 

Ad oggi le prime notizie dopo l’approvazione dell’art. 434-bis non lasciano ben sperare. A Pavia gli organizzatori di un corteo antifascista hanno denunciato la decisione della questura locale di limitare la partecipazione alla loro manifestazione a 50 persone, decisione fortunatamente poi rientrata dopo le polemiche. Nel frattempo le polemiche istituzionali sembrano suggerire che alcuni aspetti in sede di conversione in legge del decreto che dovrà avvenire entro sessanta giorni dalla promulgazione saranno smussati. 

Tuttavia, appare chiaro sin da ora che l’unico elemento che potrà determinare un eventuale ritiro della legge è proprio la mobilitazione popolare contro di essa e, più in generale, contro tutte le norme che criminalizzano le lotte popolari, cercando di non ripetere gli errori già fatti al tempo dei decreti sicurezza di Salvini che, proprio per mancanza di opposizione reale all’interno della società, hanno visto sciogliersi come neve al sole le polemiche istituzionali o di settore che li avevano investiti.

La difesa dell’agibilità politica per tutti i movimenti di lotta passa anche e soprattutto dalla capacità di contrastare quei provvedimenti legislativi la cui finalità principale è proprio quella di scagliarsi contro le mobilitazioni più avanzate. Non resta che organizzarsi.

Roma, occupazione della Facoltà di Scienze Politiche alla Sapienza. L'attuale normativa avrebbe colpito duramente tutti gli studenti
Roma, occupazione della Facoltà di Scienze Politiche alla Sapienza. L’attuale decreto avrebbe potuto colpire duramente tutti gli studenti presenti.
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