Nella giornata di lunedì gli Uffici Scolastici Regionali della maggior parte delle Regioni italiane sono stati ribattezzati provocatoriamente dagli studenti come Uffici del “Ministero dell’Istruzione di CLASSE“. Un’intuizione interessante da parte del Fronte della Gioventù Comunista in vista della giornata di mobilitazione del 18 novembre, che offre uno spunto di riflessione sulla direzione in cui sta andando oggi la scuola, anche a partire dal dibattito attualmente aperto sul “merito” e sul “classismo” nel sistema d’istruzione italiano.
L’avvento del Governo Meloni è stato accompagnato da una cospicua revisione delle denominazioni delle strutture ministeriali; tra queste è rientrato anche l’ex Ministero dell’Istruzione che ormai da qualche settimana è “Ministero dell’Istruzione e del Merito“. Una scelta non meramente lessicale, che rispecchia delle ben precise concezioni ideologiche a partire dalle quali si cerca di plasmare il ruolo della scuola nella nostra società, in linea con quanto fatti negli scorsi decenni con le riforme Belinguer (2000, centro-sinistra), Moratti (2003, centro-destra), Gelmini (2008-2010, centro-destra) e Buona Scuola (2015, centro-sinistra).
Quando si accosta il termine “merito” al termine “istruzione”, occorrerebbe domandarsi cosa si intenda per merito e quali implicazioni derivino dal mettere questo concetto al centro di un modello scolastico.
Ad oggi ruotano intorno al concetto di “merito” tutti i modelli aziendalistici di sviluppo, consapevoli o meno, delle strutture sociali ed istituzionali. Tra i portati ideologici di fondo del capitalismo c’è il vedere nella libera concorrenza e nella competizione alcune tra le principali forze motrici della società. Gli imprenditori competono strutturalmente tra loro per accaparrarsi i profitti. I lavoratori si vorrebbero in competizione tra loro per il salario e migliori condizioni di vita. In questo meccanismo il merito è di chi ce l’ha fatta; dall’altra parte c’è il demerito, c’è chi viene sopraffatto e ne paga le conseguenze, siano esse il fallimento di un’impresa o la caduta in miseria di un lavoratore. All’interno di questo Sistema competizione e concorrenza si ergono a giudici imparziali su cui poggia la giustificazione ideologica di una divisione in classi della società, che dovrebbe vedere al vertice chi ha “meritato” le proprie ricchezze plurimiliardarie e alla base chi ha “meritato” di morire di fame, guerre e sfruttamento.
Se pensiamo ad un sistema dell’Istruzione sottoposto alle leggi che oggi regolano il libero mercato concorrenziale, risulteranno di certo applicabili senza molta fatica gli stessi principi. L’obiettivo primario dei vari istituti scolastici sarà allora non più quello di garantire in modo equo e slegato da qualsivoglia interesse il miglior livello di istruzione possibile a tutti gli studenti, ma quello di competere tra di loro per primeggiare nelle classifiche ed accaparrarsi più fondi, compromettendo didattica e lasciando indietro chi non riesce a stare al passo con i criteri di valutazione standard imposti. Non risulta casuale a tal proposito che molto spesso tali classifiche vengano redatte direttamente da grandi gruppi industriali (si veda la prestigiosa classifica annuale della Fondazione Agnelli sui migliori istituti scolastici). Gli studenti dovranno competere tra loro per raggiungere a tutti i costi la tanto agognata eccellenza, convinti che sopraffacendo i propri compagni di banco potranno aspirare ad un futuro migliore e rientrare in una presunta élite a cui è concesso di garantirsi un futuro agiato. Le scuole migliori saranno maggiormente premiate perché meritevoli, mentre quelle peggiori non dovranno lamentarsi se cadranno a pezzi; così come gli studenti “meritevoli” avranno, forse e compatibilmente con i mutamenti negli orientamenti del mercato del lavoro, accesso alle professioni migliori, mentre sarà legittimato il lasciare indietro quelli non meritevoli.
Non serve mettere in campo grossi sforzi immaginativi rivolti ad un futuro distopico: questa è la realtà dell’odierno sistema scolastico; è la realtà di milioni di giovani che vivono nell’ansia della prestazione, educati a logiche di prevaricazione e nell’incertezza per il proprio domani.
D’altronde non c’è da stupirsi di queste assonanze tra il funzionamento dell’economia e quello della scuola perché la scuola non può non essere influenzata dal sistema economico in cui vive e si sviluppa: per questa ragione, per certi versi, finisce per replicarne e riprodurne i codici di funzionamento. Sanno bene i governi e i padroni che educare gli studenti di oggi alla competizione tra loro e ad accettare il mantra del merito come giustificazione della disuguaglianza, significa educare i lavoratori di domani alla stessa logica. E guai se accadesse il contrario, perché studenti e lavoratori educati alla solidarietà e alla collaborazione, potrebbero facilmente mettere in discussione una delle condizioni necessarie per la sopravvivenza del capitalismo: la competizione sfrenata tra chi vive la stessa condizione di subalternità.
Basterebbero queste poche righe per iniziare a far percepire la pericolosità di una scuola che al centro mette il concetto aziendale di “merito”, ma per comprendere la profonda ingiustizia che si cela dietro queste concezioni è necessario soffermarsi anche su quanto sia irreale, oltre che estremamente tossica, la narrazione sulla meritocrazia.
Non mancano, infatti, le evidenze del fatto che quello della meritocrazia, pur volendo accettarlo come paradigma di equa premialità, sia un vero e proprio falso mito. Quello che non viene detto è che tra i vari fattori che fanno la differenza tra il “farcela” e il “non farcela” uno dei principali è proprio la posizione socio-economica di partenza. Basti pensare a quanto l’aumento dei costi dell’istruzione, la possibilità di pagarsi ripetizioni private, di frequentare le scuole migliori e pianificare di andare all’università, possano incidere sul percorso scolastico di uno studente in itinere. Prima della pandemia, secondo il Codacons, i costi annuali per ogni alunno alle scuole superiori rientravano tra i 533€ e i 1.130€, a seconda del corso di studio scelto. Se si moltiplica questa cifra per cinque anni di scuole superiori, anche senza tenere conto degli aumenti dovuti all’inflazione, il risultato è una quantità di denaro non indifferente. Quante famiglie possono sostenere, oltre a questa spesa, anche i costi dell’istruzione universitaria? Evidentemente sempre meno. Non è un caso, infatti, che in un solo anno siano 10.000 le matricole in meno negli atenei italiani.
Diventa del tutto autoevidente, se così stanno le cose, che improntare l’istruzione alla valorizzazione del merito in un sistema scolastico che non offre a tutti pari condizioni di partenza, ma che anzi, accentua le disuguaglianze tra gli studenti nell’accesso allo studio, significa nei fatti replicare e rafforzare la stessa divisione in classi della società. Sia ben chiaro che questo ragionamento non vuole negare la possibilità individuale di un giovane proveniente dagli strati popolari di affermarsi attraverso lo studio e di raggiungere dei risultati. Mira, piuttosto, ad effettuare una valutazione tendenziale basata sui grandi numeri e non sulle eccezioni.
L’ipotesi avanzata dal neoministro Valditara, secondo cui il “classismo della scuola” si possa superare attraverso un’“alleanza per il merito”, è evidentemente quindi una mistificazione della realtà materiale in cui viviamo. La scuola di classe si supera mettendo in discussione il sistema classista che la genera, non innescando competizioni alla rincorsa di un merito che nella maggior parte dei casi esiste solo per chi può permetterselo.
Il punto è proprio mettere in discussione l’impostazione di classe della scuola: il sistema d’istruzione pubblica deve offrire le stesse identiche opportunità a tutti gli studenti, indipendemente se essi siano figli dell’avvocato di successo, o del facchino della logistica. Per questo motivo la parola d’ordine della gratuità dell’intero percorso formativo deve emergere con forza. Solo in questo modo, garantendo, quindi, universalmente il diritto ad un’istruzione di qualità, realmente accessibile a tutti e improntata sui valori della collaborazione, sarà possibile valorizzare e gratificare le capacità di ciascuno studente e le vere eccellenze.
La domanda che sorge spontanea è una: questo modello di istruzione è possibile nell’attuale sistema? Evidentemente no.