Partiamo da un presupposto: non c’è alcun risarcimento monetario che possa compensare la morte di un diciottenne in alternanza scuola-lavoro per la sua famiglia. Riteniamo questa una premessa doverosa perché vuole evitare la normalizzazione di uno degli aspetti peggiori del capitalismo, ossia la tendenza alla mercificazione e, conseguentemente, alla quantificazione in un equivalente monetario di qualsiasi aspetto della vita umana. Tra questi anche la perdita della vita di un figlio adolescente per dei genitori.
Fatte però queste considerazioni preliminari, non si può non affermare che la notizia secondo cui la famiglia di Giuliano De Seta non avrà diritto a nessun risarcimento INAIL per la morte del figlio schiacciato da una lastra d’acciaio durante uno stage formativo, è semplicemente vergognosa.
La motivazione di tale scelta risiede in una questione apparentemente formale, per cui lo status di stagista impiegato in un percorso di PCTO, non essendo formalmente equiparato a quello di lavoratore dipendente, non sarebbe meritevole di risarcimento antinfortunistico INAIL.
Dietro a quello che sembra un cavillo legale, si nasconde però una questione di sostanza che riporta all’ordine del giorno, qualora ce ne fosse bisogno, una parte del dibattito apertosi nel momento dell’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro da parte del Governo Renzi con la Buona Scuola: gli studenti in alternanza sono studenti o sono lavoratori?
Fino a questo momento i Governi, i sindacati confederali e, ad onor del vero, la quasi totalità delle organizzazioni studentesche legate al centro-sinistra, ma talvolta anche “alternative”, hanno risposto ribadendo l’assoluta inconciliabilità dello status di studente con quello di lavoratore.
Nulla di più gradito ovviamente per i padroni delle aziende, liberi di sfruttare la manodopera studentesca in alternanza senza dover garantire nessuna retribuzione e nessuna tutela. E’ proprio su questo assunto, portato spesso avanti in maniera ideologica e slegata dall’analisi reale dei fatti, che poggia la legittimità della negazione di qualsiasi forma di diritto basilare agli studenti in alternanza; forme di tutela che, seppur minime, vengono comunque riconosciute ai lavoratori assunti anche con contratti di formazione o apprendistato.
I fatti di questi giorni ci obbligano però tristemente ad una presa di coscienza rispetto alla realtà: gli studenti, anche a partire dal loro status giuridico, quando inseriti in un contesto lavorativo per progetti di alternanza, devono ricevere tutte le tutele riconosciute ai lavoratori. Questo assunto deve essere imprescindibile, pur nella consapevolezza che ovviamente di per sé non risolve le contraddizioni insanabili dell’Alternanza scuola-lavoro che, in quanto forma di subordinazione del sistema d’istruzione ai bisogni delle imprese, deve essere abolita.
Nei prossimi mesi si terranno i processi che giudicheranno nel merito le dinamiche dell’incidente che ha portato alla morte di Giuliano De Seta ed eventuali responsabilità da parte dell’azienda; al netto di questo però, le considerazioni di cui sopra impongono agli studenti una presa di coscienza della propria condizione, del proprio ruolo e della necessità di organizzarsi, per non rimanere relegati al ruolo di spettatori o vittime di “tragici incidenti“.
La storia di Giuliano, come quella di Lorenzo Parelli e Giuseppe Lenoci, indicano che l’unica strada da percorrere è quella della lotta contro un sistema in cui gli studenti muoiono in fabbrica proprio come gli operai e -quando questo succede- è possibile che vengano anche beffati dai tribunali, dalle istituzioni, da uno Stato che preferisce voltarsi dall’altra parte e non assumersi alcun tipo di responsabilità di fronte alla vita spezzata di un adolescente. D’altronde Giuliano in quella fabbrica agli occhi delle autorità non era né carne né pesce, non stava lavorando, era stato mandato lì per essere “formato”, per imparare gratuitamente com’è essere un operaio. Si sa che in certi lavori funziona così, fa parte dei rischi del mestiere che una lastra di acciaio ti possa piombare addosso da un momento all’altro, uno ce lo deve mettere in conto e questo Giuliano lo ha imparato a sue spese, rimettendoci la vita. Agli occhi dello Stato uno stagista non rappresenta una fonte di reddito e tanto basta per pulirsi la coscienza, per non sentirsi in dovere, per non riconoscere dignità al dolore di una famiglia che ha perso il bene più prezioso: questo è ciò che apprendiamo.
Finché esisterà l’alternanza scuola-lavoro, dovrà essere diritto degli studenti essere retribuiti per le ore in cui si svolge un’attività lavorativa, ricevere una seria formazione sul tema della sicurezza e sui propri diritti sindacali, poter scegliere i progetti più confacenti alle proprie aspirazioni attraverso l’utilizzo di commissioni paritetiche nelle scuole con poteri di veto sui progetti non graditi alla popolazione studentesca. Gli studenti, spalla a spalla con i lavoratori, dovranno conquistare un mondo in cui la formazione sia formazione e il lavoro non sia sfruttamento.