di Angelo Panniello
Nella notte tra il 30 e il 31 agosto cinque operai sono morti e due sono rimasti feriti a Brandizzo, travolti da un treno in direzione Torino, a un chilometro dalla stazione ferroviaria. Gli operai coinvolti nell’incidente erano assunti dalla Sigifer, un’azienda di Borgo Vercelli in appalto a Costruzione Linee Ferroviarie (CLF), e quella notte stavano eseguendo dei lavori di manutenzione sulla linea ferroviaria Torino-Milano. Secondo i recenti sviluppi emerge in maniera ormai certa che l’investimento dei sette lavoratori sia stato causato da un aggiramento delle misure minime di sicurezza. Per tre volte prima che avvenisse la tragedia, infatti, la dirigente movimentazione della stazione di Chivasso aveva avvertito il caposquadra della Sigifer e il capo della “scorta ditta” di RFI che non avevano il permesso di procedere con i lavori perché c’era un treno in ritardo in arrivo. Avvisi rimasti inascoltati, come da prassi.
Ci raccontano questo operai ed ex dipendenti della Sigifer:
“La tabella è questa: primo contratto di un mese, poi tre contratti di sei mesi, solo dopo questa trafila, se gli vai bene, tempo indeterminato.
Ci mandavano in cantiere con le lampadine sul casco che fanno pochissima luce. Nessun lampione. Ci facevano firmare un corso sulla sicurezza mai effettuato. E siccome non timbri ma hai solo il foglio ore, capitava di fare sia il turno del mattino che quello di notte. I più anziani fra i colleghi morti arrivavano a prendere 1.700-800€ al mese per un lavoro duro in cui rischiavi la pelle. Se fossi rimasto probabilmente ieri sarei morto anch’io”. (Fonte https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/09/01/brandizzo-la-strage-della-bassa-velocita-il-collega-noi-mandati-a-morire/7278128/).
Queste sono le condizioni di lavoro raccontate da vari ex colleghi dei lavoratori rimasti uccisi, che ci restituiscono una lettura più chiara di mille indagini su quella che è la realtà che noi lavoratori siamo costretti a vivere in questo Paese. Una realtà fatta di precarietà, sfruttamento, infortuni e morte.
La causa di questa strage non è da imputare a un “errore umano“, come sostenuto a tamburo battente dalla retorica di Governo in questi giorni per minimizzare le responsabilità, ma ad una prassi consolidata di aggiramento delle procedure di sicurezza, costantemente violate per tagliare sempre di più i tempi di produzione e massimizzare i profitti. Queste sono condizioni strutturali che si vivono in tutte le aziende, ma che emergono in modo ancora più marcato nel sistema degli appalti e subappalti.
Decenni di politiche di esternalizzazione e privatizzazione dei servizi essenziali di questo Paese (non solo nei trasporti, ma anche nella sanità, mondo dell’istruzione etc.) portate avanti dai governi di centrodestra e centrosinistra, hanno portato a una situazione di vero e proprio far west nel sistema appalti, con una continua “spada di Damocle” che pende sulla testa dei lavoratori. Le aziende fanno a gara per conquistarsi appalti vantaggiosi schiacciando il costo dei propri lavoratori, riducendo i tempi di lavorazione e bypassando le misure di sicurezza. Rispettare le misure di sicurezza, infatti, richiede tempo e denaro, e troppo spesso è l’elemento che viene sacrificato pur abbattere i costi e continuare a mantenere l’appalto. Questo è ciò che è successo a Brandizzo: dei lavoratori mandati al macello da un’azienda disposta a tutto pur di massimizzare i margini di profitto.
NON SOLO BRANDIZZO, IL PROBLEMA E’ STRUTTURALE
Il 2022 in Italia si è chiuso con 1090 morti sul lavoro, con una media di quasi tre morti al giorno. Gli infortuni denunciati sempre nel 2022 sono stati 697.773, in aumento del 25,9% rispetto al 2021. Nei primi 7 mesi di quest’anno si contano 559 caduti, una media di 2,4 vittime al giorno. Gli infortuni denunciati nel 2022 sono stati 697.773, in aumento del 25,7% rispetto al 2021. Per quanto riguarda le malattie professionali, le 60.774 denunce del 2022 rappresentano un aumento del 9,9% rispetto al 2021 e il 35% in più rispetto al 2020. Naturalmente ai dati degli infortuni regolarmente registrati dovremmo idealmente aggiungere i migliaia di infortuni non denunciati che avvengono in Italia nella giungla del lavoro nero e sommerso (come ad esempio gli infortuni all’ordine del giorno nell’edilizia e nell’agricoltura). Questi dati non sono solo numeri, ma vite di lavoratori spezzate in nome dell’unica legge che vige nel sistema capitalistico: la legge del profitto. Sono numeri che ci danno una fotografia immediatamente comprensibile di quella che è la realtà che vivono tutti i giorni i lavoratori di questo Paese.
Chiunque abbia lavorato in un’azienda privata o pubblica, piccola o grande, in appalto o no, sa bene qual è la realtà, anche senza bisogno di avere di fronte questi dati. L’aumento della produttività e del profitto delle aziende si fa col sangue dei lavoratori, tagliando i “tempi morti“, eliminando le pause, intensificando i ritmi, comprimendo i salari e azzerando i diritti sindacali. Tutto questo insieme a turni di notte massacranti, prolungamenti continui dell’orario di lavoro, “straordinari” che diventano prassi obbligata per chi ha un contratto precario.
Troppo facile dare la colpa all'”errore umano“, alla stanchezza, alla fatalità, o peggio a far ricadere la responsabilità sul singolo lavoratore che non rispetta le regole sulla sicurezza. Chiunque abbia lavorato anche un solo giorno sa bene che cosa significa per un lavoratore opporsi da solo al bypass delle sicurezze di macchinari, ponteggi o linee produttive; minacce di licenziamento, lettere di contestazione, provvedimenti disciplinari completamente inventati e basati sul nulla: sono questi i metodi usati dai padroni per mettere a tacere quei lavoratori che provano ad opporsi. Non ci sono errori e fatalità in questo sistema. E’ il “normale” funzionamento di una qualunque impresa votata alla massimizzazione del profitto, dove il rischio che un lavoratore muoia diventa una delle tante variabili statisticamente calcolate e messe in conto, perchè questo è il prezzo imposto dalla “concorrenza“.
LA RISPOSTA NECESSARIA
Mentre il Ministro dei Trasporti Salvini tace con colpevolmente davanti ai fatti di Brandizzo, la premier Meloni fa sapere che nuove norme più restrittive sulla sicurezza non sono necessarie, ma è sufficiente applicare quelle vigenti, scaricando le responsabilità sui Sindacati Confederali che, dal canto loro, restano immobili davanti ad una strage operaia di questa gravità, indicendo in risposta soltanto quattro misere ore di sciopero nella sola provincia di Vercelli.
Quello che serve è uno sciopero generale vero, capace di mobilitare l’intera classe lavoratrice contro questo Governo che, mentre muoiono tre lavoratori al giorno, regala sgravi fiscali alle imprese e liberalizza i contratti precari e i voucher. Un Governo che mentre aumentano inflazione e carovita, risponde tagliando il Reddito di Cittadinanza e intensificando le politiche di guerra imperialista in Ucraina.
Abbiamo bisogno di un vero sciopero generale e generalizzato, che sia in grado di paralizzare realmente il Paese, perché solo così la classe operaia italiana sarà in grado di lanciare un segnale inequivocabile all’intera borghesia e al suo governo di marionette. Uno strumento in mano ai lavoratori che passi un messaggio chiaro: non siamo più disposti a piangere i nostri colleghi e a morire per il profitto di pochi.