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Decreto lavoro. La morsa mortale dei contratti a tempo determinato

Il nuovo attacco del Governo Meloni ai diritti dei lavoratori non fa che confermare la sua natura antioperaia e reazionaria. Con la cancellazione de facto del Decreto Dignità, l’esecutivo ha liberalizzato ulteriormente i contratti a tempo determinato, ampliando le possibilità di sfruttamento e precarietà per i lavoratori. Questa mossa rappresenta un chiaro attacco alle condizioni di vita dei lavoratori e un ulteriore allargamento delle maglie della precarietà e della flessibilità nel mercato del lavoro. Il nuovo decreto, nei fatti, concede moltissima flessibilità nelle mani delle aziende, che sicuramente porterà a discriminazioni e ritorsioni.


UNA MISURA CHE FAVORISCE LA PRECARIETÀ

Il Decreto Dignità, seppur già caratterizzato da vincoli deboli e facilmente aggirabili per i padroni, limitava la durata massima dei contratti a tempo determinato a 24 mesi, dopo i quali era necessario procedere con un’assunzione stabile o un licenziamento. Il Governo Meloni ha deciso di eliminare questi vincoli per i primi 12 mesi, permettendo alle imprese di prorogare i contratti a tempo determinato fino a 3 anni, senza alcuna garanzia di assunzione stabile al termine di tale periodo.

L’abolizione delle causali più stringenti nei contratti a tempo determinato apre la strada ad un ritorno ancora più diffuso della precarietà nel mondo del lavoro. Senza la necessità di fornire una giustificazione oggettiva e temporanea per l’assunzione di personale a tempo determinato, le aziende potranno sfruttare questa flessibilità per mantenere i lavoratori in uno stato di precarietà continua.

Dalla legge emerge inoltre che saranno i contratti collettivi a stabilire le causali, mettono i lavoratori in una posizione di maggiore vulnerabilità: senza la protezione di una causale chiara e specifica, i lavoratori saranno più suscettibili a sfruttamento o licenziamento senza un motivo valido. Ciò crea un ambiente lavorativo in cui i lavoratori non solo non hanno la garanzia di una continuità lavorativa, ma rischiano anche il posto se non accettano a testa bassa i ritmi di lavoro sempre peggiori, i salari da fame, l’attacco al diritto di organizzarsi sindacalmente.


UN MONDO DEL LAVORO SEMPRE PIÙ INDIVIDUALIZZATO

In un contesto politico e lavorativo nel quale i sindacati confederali sviluppano un ruolo di cogestione con i padroni, mentre quelli combattivi fanno fatica a organizzare complessivamente ampi strati di lavoratori, questo Decreto assume la funzione di limitare ulteriormente la tutela dei diritti dei lavoratori, rendendoli ancora più soli di fronte all’arroganza dei padroni.

La possibilità di organizzarsi su un piano sindacale è già stata minata negli ultimi trent’anni dalle riforme in materia di lavoro portate avanti dai governi di ogni colore, sia di centrodestra che di centrosinistra. I contratti precari e il ricatto costante nei luoghi di lavoro sono stati le principali armi usate dai padroni per isolare i lavoratori e scoraggiare la lotta. Il Decreto va nella direzione di ampliare questo aspetto, rendendo appunto più difficile -per i sindacati- rispondere in maniera specifica al non rinnovo dei contratti a termine, sia su un piano legale che sostanziale.

Le imprese hanno sempre di più il coltello dalla parte del manico: assumono personale a tempo determinato senza la necessità di fornire una motivazione specifica e possono evitare di investire nella formazione di questi lavoratori e nella loro sicurezza, poiché considerati come risorse temporanee e sostituibili.

Inoltre, i giovani che entrano oggi nel cosiddetto “mercato del lavoro” sono quelli che subiranno maggiormente i costi di questa riforma. Nonostante le aziende potranno assumere NEET (giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono inseriti in percorsi di formazione e non risultano alla ricerca attiva di un lavoro) con la garanzia che sarà lo Stato italiano a pagare per un anno fino al 60% della sua retribuzione, questa manovra non è a favore dei giovani, ma è anzi un enorme sostegno alle imprese, che ora saranno libere di sfruttarli per 12, 24 o 36 mesi per poi lasciarli a casa. E’ evidente come i giovani proletari saranno i primi ad essere colpiti da queste misure, che riaffermeranno ancora una volta il trend di precarietà e minore stabilità per le nuove generazioni di lavoratori. Al peggioramento oggettivo delle condizioni lavorative, va aggiunto il forte danno che a livello psicologico genera, in particolare tra le nuove generazioni, il costante senso di precarietà e indeterminatezza rispetto al proprio futuro.


LA NECESSITÀ DI ORGANIZZARSI

Questa manovra darà ancora più potere ai padroni, consentendo loro di porre costantemente in turnover la forza-lavoro precaria e sfruttarla al massimo, soprattutto in settori come la logistica. I lavoratori saranno costretti a vivere nell’incertezza e nell’insicurezza per un periodo di tempo ancora più lungo, soggetti a pressioni e richieste di straordinari in modo ancora più coercitivo, al ricatto costante del licenziamento e privi della possibilità di pianificare il proprio futuro. Inoltre, la mancanza di un contratto a tempo indeterminato renderà estremamente difficile per i lavoratori, soprattutto per coloro che sono immigrati, ottenere ad esempio un contratto di affitto per un appartamento. Questo perpetuerà l’instabilità e l’incertezza nella vita dei lavoratori, rendendo difficile anche l’organizzazione sindacale e la lotta per i propri diritti.

Di fronte a questo ennesimo attacco, è fondamentale che organizzare una lotta comune tra studenti, disoccupati e lavoratori. Non possiamo permettere che la nostra vita sia sempre più precaria e sottoposta alle logiche del profitto. È necessario costruire una risposta di massa, basata sull’unità di classe e sulla solidarietà, per contrastare l’agenda di un Governo che vede nell’attacco alla classe operaia il fulcro del proprio progetto politico.

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