di Arianna Morabito e Fabrizio Russo
La nuova ondata di profughi che sta investendo le coste dell’isola di Lampedusa ha messo a dura prova l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. L’instabilità dei paesi della striscia del Sahel, dovuta al moltiplicarsi degli scontri armati e dei colpi di stato in un clima di massima tensione inter-imperialista, ha avuto la conseguenza di raddoppiare il numero degli sbarchi rispetto allo scorso anno, toccando la cifra di 125.928 arrivi. È bastato questo per far sciogliere come neve al sole l’intero apparato di propaganda più reazionario e becero su cui il partito della Meloni e i suoi alleati avevano fondato la propria campagna elettorale: le promesse su sbarchi e blocco navale non hanno trovato nessun riscontro nell’agenda politica messa in atto dall’esecutivo per fronteggiare la crisi.
Ciò che invece l’esecutivo ha garantito è il proseguimento della linea dell’unione europea sulla gestione dei profughi interna ai singoli stati membri. Il nuovo decreto infatti aumenta il numero dei CPR presenti sul territorio nazionale fino a 21, aggiungendo una clausola del tutto classista sulla possibilità di evitare la detenzione nei centri sotto tangente di 5000 euro. Ma cosa sono i CPR, chi li gestisce e qual è il loro stato attuale nel nostro paese?
CPR, COSA SONO?
I CPR, Centri permanenza di rimpatrio, sono strutture adibite alla detenzione di cittadini stranieri, in attesa di concludere le procedure di espulsione. Ad oggi in Italia c’è un totale di nove centri, sparsi per lo stivale, che hanno capacità di 961 posti. Dal punto di vista giudiziario la detenzione amministrativa è un autonomo canale punitivo, che a causa del suo essere una “extraterritorialità giuridica”, finisce per non garantire ai detenuti le tutele previste dall’ordinamento. Quindi i reclusi non godono delle libertà personali, tra le quali quella di movimento, non godono dei diritti né delle garanzie proprie della materia penale, non si vedono neppure garantiti quei principi costituzionali che dovrebbero considerarsi inderogabili. È importante notare come tutto ciò è determinato dalla violazione di una norma amministrativa che regolamenta l’entrata e il soggiorno in uno Stato, quindi la detenzione viene disciplinata da un semplice regolamento ministeriale e attuata anche senza un reato penale.
Anche sul fronte dei CPR si riscontra la stessa tendenza alla riduzione dei fondi a scopo sociale, come accade ormai da decenni nell’istruzione e nella sanità. Nello specifico all’interno dei centri negli anni 2018-2021 sono stati effettuati tagli fino al 70% ai servizi sanitari e fino al 56% al servizio di mediazione linguistica, fino ad arrivare al quasi azzeramento del servizio di informazione normativa. Come coronamento al continuo definanziamento, notiamo la quasi totale mancanza di controlli agli enti gestori. Una plastica evidenza ce la da il numero di denunce e segnalazioni fatte dai dipendenti delle aziende vincitrici degli appalti e dal numero di rapporti di attestazioni di idoneità al trattenimento che l’ASL non ha mai effettuato. Questo ci indica che spesso non vi è quindi un reale controllo sulla salubrità degli ambienti, sulla qualità del cibo, sul pagamento corretto dei dipendenti.
CHI GESTISCE I CPR?
La gestione dei CPR vede come protagoniste principali multinazionali in lotta per aggiudicarsi le gare di appalto nell’amministrazione dei centri. Esponente privato di spicco nella gestione dei CPR è sicuramente il gruppo ORS ( Organization for Refugees Services) con sede centrale a Zurigo e da oltre trent’anni leader nel settore in tutta Europa. Il gruppo gestisce oltre 100 strutture in Svizzera, Austria ( dove ha detenuto il monopolio sulla gestione dei CPR fino alla fine del 2020), Germania e Italia. ORS Group, grazie alla consulenza del gruppo Telos, intrattiene contatti diretti a tutela dei propri interessi con esponenti politici di vari stati, tra cui l’Italia. Gli esempi rispetto alle condizioni di vita e al trattamento dei detenuti nei CPR gestiti da ORS sono molteplici, ma sicuramente il più rilevante, che creò notevole scalpore mediatico, fu quello del CPR di Macomer, in cui il personale sanitario addetto denunciava condizioni di lavoro e di sicurezza minima, visite sulle condizioni sanitarie all’interno del centro inesistenti e trattamento disumano dei migranti. Questo caso è solo uno dei tanti e va a sommarsi alle molteplici denunce di natura molto simile che si sono susseguite nel corso degli anni e degli ultimi mesi. Il quadro che emerge è dunque molto chiaro ed evidenzia una gestione dei CPR che non solo produce condizioni disumane e criminali, ma che è dedita alla massimizzazione del profitto per i privati che acquisiscono l’appalto.
In conclusione i CPR risultano essere, oltre che un anomalia del sistema giuridico borghese, anche una violazione dei più basilari diritti umani. La volontà dietro il nuovo decreto del Governo Meloni di ampliare i CPR, risponde alla necessità di aumentare i profitti dei privati, andando a lucrare sulla pelle di persone che arrivano in Europa alla ricerca di condizioni di vita dignitose. I meccanismi derivati dalla logica votata al profitto nella gestione dei CPR creano una forma di detenzione ancor più marcata rispetto alle normali istituzioni totalizzanti. L’identità dell’individuo al suo interno viene completamente annullata e la sua permanenza passiva dentro queste strutture diventa fonte di mero guadagno. A dimostrazione di ciò sono tanti i casi di abusi di psicofarmaci documentati, le violenze gratuite di controllori e polizia e le segnalazioni di tentavi di suicidio avvenuti.
La lotta contro l’ampliamento dei centri, si deve legare a una più ampia mobilitazione contro le cause che determinano le migrazioni forzate. Non esiste reale differenza tra migranti e rifugiati: esistono vittime dell’imperialismo; il compito di noi comunisti va oltre la rivendicazione di un sistema di accoglienza dignitoso, ma deve mirare alla lotta contro il sistema che causa le condizioni materiali che costringono migliaia di persone a lasciare la propria terra.