di Flavia Lepizzera
Il Governo Meloni, ad un anno dall’insediamento, inizia ad occuparsi seriamente di scuola e lo fa in modo coerente con le direttive che hanno guidato tutta la sua azione politica fino ad oggi. La scuola di Valditara risponde, infatti, alle esigenze espresse direttamente da Confindustria e dai padroni italiani nell’ambito della ristrutturazione capitalistica, dello sviluppo dell’industria 4.0 e del rafforzamento della competitività dei monopoli italiani; a dirlo è direttamente il Ministro dell’Istruzione e del Merito. Sul sito del Ministero è rintracciabile la nota con la quale Valditara presenta la riforma, dove si legge: «L’Italia è il secondo Paese manifatturiero in Europa: secondo i dati Unioncamere Excelsior, dalla meccatronica all’informatica serviranno da qui al 2027 almeno 508mila addetti, ma Confindustria calcola che il 48% di questi sarà di difficile reperimento. A settembre 2023 questo dato ha già raggiunto quota 48% (+ 5 punti rispetto al 43% di un anno fa, nel 2019 era il 33%). ll disegno di legge approvato oggi ha l’obiettivo di trasformare questi numeri allarmanti in una grande opportunità per i nostri giovani».
Il fatto che il ministro dell’istruzione dichiari apertamente che la riforma sia pensata per venire incontro ad un’esigenza segnalata direttamente dalle associazioni padronali del nostro paese non deve lasciarci indifferenti. Esistono migliaia di dati preoccupanti in merito alla situazione in cui versa il nostro sistema scolastico e altrettanti sono gli indicatori che inquadrano il futuro della gioventù come critico.
Basti pensare che, stando al rapporto sulle INVALSI 2022, nella padronanza della lingua italiana “la distanza complessiva in termini di risultato tra gli studenti dei licei classici, scientifici e linguistici e quelli dei professionali è di 31,2 punti, quasi pari all’apprendimento corrispondente a due anni di scuola”. Lo stesso rapporto evidenzia serie e diffuse lacune nella comprensione del testo e nella capacità di esporre ragionamenti logici e consequenziali. Dall’Ocse alle INVALSI, la fotografia che ci viene restituita della scuola italiana descrive un sistema che lascia indietro moltissimi studenti, rafforzando il divario tra indirizzi, tra nord e sud e tra fasce di reddito: in poche parole il divario di classe.
Eppure non sono questi i dati che vengono presi in considerazione dal Ministero dell’Istruzione. Le necessità che il Governo Meloni ha ritenuto prioritarie e a cui ha deciso di porre rimedio non sono contenute nei rapporti rispetto ai livelli minimi di istruzione, ma provengono direttamente dalle ricerche e dai documenti in cui Confindustria esprime le proprie strategie di sviluppo nel prossimo futuro. Senza alcun velo il ministro sta dicendo che la riforma dei tecnici e dei professionali serve precisamente per fornire manodopera specializzata a buon mercato per i padroni. Per sviluppare l’industria 4.0 c’è bisogno di competenze che sono ora “di difficile reperimento”, ovvero comportano un costo troppo elevato in termini di formazione aziendale e di salario. Per abbattere questi costi il ministro ha deciso di mettere al servizio delle imprese la scuola pubblica, pagata con la tassazione e dunque con le tasche dei lavoratori.
Nell’introduzione alla riforma non compaiono nomi di autorevoli pedagogisti, o dati sull’andamento del sistema scuola, ma solo le associazioni dei padroni italiani e le loro richieste. Eccola la visione che il Governo Meloni ha della scuola: un’istituzione che serve per rispondere agli interessi delle imprese per formare lavoratori sempre più precari e sfruttati. Per dirla direttamente con le loro parole: «Oggi l’istruzione tecnica e professionale deve diventare […] spendibile nel mondo del lavoro, garantendo competitività al nostro sistema produttivo» e deve servire a «offrire competenze di qualità alle imprese».
Va chiarito che questa visione della scuola è tutt’altro che nata ieri, ma è piuttosto figlia di un processo decennale che ha permesso di sottrarre terreno alle conquiste fatte dal movimento operaio, delle donne e studentesco. Un processo che ha visto i suoi albori con l’introduzione dell’autonomia scolastica, è passato per la stagione di tagli e attacco alla spesa pubblica per il diritto allo studio, per la Riforma Gelmini e per la Buona Scuola del PD. Di quest’ultima la riforma Valditara è infatti il semplice coronamento, poiché ne riprende e ne sviluppa i capisaldi, primo tra tutti l’alternanza scuola-lavoro.
NATURA ED OBIETTIVI DELLA RIFORMA
Tutta la riforma va nella direzione di appianare le differenze ed equiparare i centri di formazione professionale regionali e provinciali e gli istituti statali tecnici e professionali, integrandoli all’interno della stessa “filiera” e creando dei legami stretti e stabili con le aziende del territorio e con gli Istituti Tecnici Superiori. La riforma insiste moltissimo sul rapporto di partneriato tra azienda ed impresa, con la proposta di una scuola di fatto bipartita tra la catena di montaggio e i banchi in classe.
E’ opportuno considerare che la formazione provinciale e regionale è strettamente legata alla necessità di garantire occupabilità sul territorio e non fornisce un titolo che consenta accesso all’università. In questo contesto la direzione presa dalla riforma non è quella di adeguare i centri di formazione professionale per garantire l’apprendimento delle discipline di base, per limitarne l’arbitrio delle pratiche, per annullare la disparità tra contesti territoriali diversi, per garantire una gestione maggiormente democratica in contesti in cui gli studenti non hanno alcuna forma di rappresentanza, piuttosto il contrario e cioè lavorare affinché i tecnici e i professionali statali somiglino e si avvicinino sempre di più al modello delle aziende. L’idea è quella di creare dei grandi poli locali, integrati con il tessuto produttivo dell’area tramite migliaia di ore di stage da svolgere in azienda. In pratica, l’idea di avere la scuola targata coca-cola o fed.ex, con un fortissimo e costante legame, diventa realtà.
Dunque il ministero si propone di dare alle aziende esattamente ciò di cui hanno bisogno a costo zero. Ci si adopera affinché siano le scuole ad impartire la formazione aziendale e ad effettuare la selezione dei profili più preparati ed idonei per le esigenze di mercato, tramite la competizione tra studenti. In questo modo si fornisce alle aziende personale pronto ad entrare in funzione dal giorno seguente al diploma, privo della minima aspettativa sul salario e sui propri diritti perché abituato ad anni di sfruttamento completamente gratuito. Lungi dal garantire sicura occupazione post-diploma, il fatto di non aver speso un euro per la formazione aziendale dei propri assunti e dunque di non dover ammortizzare nessun costo, non vincola in alcun modo l’azienda ad assumere a tempo indeterminato.
Va inoltre considerato che questo è un altro significativo passo verso la frammentazione della scuola e la sua differenziazione su base territoriale, con il risultato che aver frequentato la scuola tecnica in uno dei centri produttivi del nord del nostro paese, non riserverà mai le stesse “opportunità” di averla frequentata in un altro contesto.
La Riforma fornisce gli strumenti per realizzare la piena integrazione tra il mondo della scuola e quello dell’impresa. Tale era la formulazione utilizzata dall’ex-ministro Patrizio Bianchi (con un passato da assessore per l’istruzione nell’amministrazione PD dell’Emilia Romagna) per definire l’indirizzo politico da imprimere all’istruzione tramite i fondi del Recovery Fund. In questo senso il governo Meloni, lontano dall’essere un governo di rottura, raccoglie gli indirizzi espressi dalla Commissione Europea nei documenti e nelle indicazioni che accompagnavano il Recovery Fund e prosegue il lavoro dei governi di centro-sinistra e centro-destra che lo hanno preceduto.
LA RIDUZIONE DEL PERCORSO FORMATIVO
La principale novità della riforma è l’introduzione su larga scala della scuola in 4 anni per tecnici e professionali, già avviata dalla Ministra Fedeli del PD. Il governo propone una scuola che innanzitutto sia conformata per abbattere i costi dell’istruzione. Comprimendo i tempi del percorso scolastico, infatti, si “risparmiano” circa 8000 euro per studente, destinabili ad altre e più allettanti voci di spesa come per esempio il sostegno militare all’imperialismo italiano nel mondo, o per sostenere le spese del coinvolgimento di privati e aziende nel sistema scuola.
Con questa misura il governo sta essenzialmente promuovendo un’idea di scuola che serve solo ed esclusivamente ad addestrare per una mansione lavorativa, in cui gli studenti vengano preparati ad essere spremuti dalle aziende il prima possibile. Si tratta di una compressione del tempo di scuola negli indirizzi tecnici e professionali riformati impressionante: non solo un anno in meno di formazione equivale ad un drastico ridimensionamento dei già parziali percorsi educativi, ma va considerato che nei quattro anni disponibili è previsto che vengano svolte sin da subito centinaia di migliaia di ore di stage, di alternanza scuola lavoro e di incontri con gli esponenti della filiera produttiva del territorio. È evidente anche ad un occhio poco esperto come il tempo disponibile in classe ne risentirà in modo netto e a pagarne le conseguenze saranno gli studenti che vedranno fortemente ridotti i propri stimoli culturali e la possibilità di costruire un rapporto educativo con il docente.
A pagare il prezzo più caro saranno sicuramente gli studenti più fragili nell’apprendimento, quelli con difficoltà da colmare come l’apprendimento della lingua e, in generale, gli studenti degli strati popolari. Difatti non è escluso che, con costi della vita sempre più insostenibili e l’aumentare delle barriere economiche per l’accesso al diritto allo studio, andare a scuola per un anno in meno con la prospettiva di guadagnare da subito ed essere -almeno su carta- “più facilmente occupabili” possa rappresentare una prospettiva molto attraente per i figli dei lavoratori e le famiglie a basso reddito. Si aggiunge così un importante tassello alla scuola di classe.
Va poi considerato che già oggi esiste una netta differenza tra la quota di studenti liceali che intraprendono un percorso universitario e quella dei tecnici e dei professionali che fanno la stessa scelta. Con l’entrata in vigore della riforma, che trasforma in modo così significativo e settorializza fortemente questi percorsi, il divario non potrà che aumentare ulteriormente.
Più che una proposta pensata per fornire una formazione di eccellenza e aprire opportunità agli studenti come la presenta Valditara, questo modello di scuola sembra segnare il futuro dello studente fin dai 14 anni, destinato ad apprendere lo stretto indispensabile per poter rendersi utile nelle aziende partner della scuola e cancellando per sempre la favola della scuola come strumento di emancipazione ed ascensore sociale.
IL RUOLO DELLE AZIENDE NELLA DIDATTICA
La chiave del modello di scuola proposto dal Ministro Valditara è il legame con l’azienda che, riprendendo quanto disposto nella 107 dal PD nel 2015, viene ulteriormente approfondito. La riforma propugna la visione ideologica per cui tra la formazione tecnica e professionale e quella aziendale vi sia piena sovrapposizione. I percorsi di formazione saranno infatti pattuiti tra scuola e azienda, con la possibilità per i privati di svolgere lezione tra i banchi di scuola. Come se già non bastassero tutte le ore di stage e di alternanza scuola-lavoro, con questa riforma i padroni avranno accesso direttamente alla cattedra.
Per inquadrare propriamente i possibili esiti, basti pensare che negli ultimi anni si sono moltiplicati gli incontri tra gli studenti ed esponenti della Confindustria, soprattutto nelle regioni in cui la Buona Scuola è stata accompagnata da fondi e provvedimenti regionali. Il contenuto di tali incontri, svolti anche nei licei, negli anni è andato dagli sproloqui sulla presunta sostenibilità di questa o quella impresa, fino ad indicazioni su come sostenere un colloquio di lavoro senza chiedere nulla in merito al proprio compenso.
In altre parole, la prospettiva sarebbe quella di permettere sempre di più che i padroni mettano bocca in ciò che viene insegnato a scuola, decidendo in prima persona cosa, come, dove e quando vada imparato. Se già la Buona Scuola dava la possibilità ai privati di sedersi in consiglio di istituto e di pattuire con i docenti i percorsi da realizzare in classe, l’ulteriore regalo di Valditara ai padroni consiste nel permettere accesso diretto ad un’ampissima platea di studenti a cui trasmettere la propria visione ideologica. Vale la pena porre attenzione sul fatto che docenti ed educatori sono formati e si occupano di didattica e pedagogia, a differenza di tecnici e padroncini che pure avranno però la possibilità di trasmettere tra i banchi di scuola.
Con questa riforma si accelera enormemente l’indirizzo di conformare il sistema scolastico nella direzione di un sistema binario, con percorsi fortemente differenziati tra licei ed istituti. La prospettiva è quella di una conoscenza tecnica e professionale molto parcellizzata e legata strettamente all’ambiente delle aziende nelle quali si svolgono le ore stage ed alternanza, estremamente specializzata e specifica più che eccellente. Basti pensare che “la riforma che finalmente rende la formazione professionale e tecnica un canale di serie A” non prevede un solo euro per la realizzazione di laboratori interni alle scuole, ma consegna invece gli studenti a milioni di ore di lavoro gratuito e sfruttato per il profitto delle imprese partner dell’istituto. Già dal secondo anno sarà infatti possibile iniziare con le ore di alternanza.
Nel generale contesto dell’acuirsi della competizione interimperialistica, testimoniata dal protrarsi della guerra in Ucraina, e con le nuove prospettive di sviluppo aperte dalla significativa immissione di capitale del Recovery Fund, Confindustria esprime la necessità di aumentare i ritmi produttivi e di competere adeguatamente nello spartirsi nuove fette di mercato. È precisamente per rispondere a questa richiesta che il governo ha deciso di ignorare quanto accaduto nel 2022: tre ragazzi tra i 16 e i 18 anni sono morti lavorando gratis e 200mila studenti sono scesi in piazza a seguito di tale evento per rivendicare la cancellazione dell’alternanza scuola-lavoro. Con l’istituzione di un misero fondo per le vittime in stage il governo ha dato un segnale chiaro: perdere la vita mentre si lavora gratis negli stessi luoghi in cui muoiono 3 operai al giorno, è qualcosa non solo da accettare, ma anche da prevedere.
Oggi, Valditara si propone di incentivare e allargare il sistema degli stage gratuiti, anticipandone addirittura l’anno di inizio. Il governo non ha problemi a sporcarsi le mani di sangue per garantire il profitto di pochi e dunque prosegue e rafforza l’Alternanza Scuola-Lavoro.
VOTO IN CONDOTTA: A SCUOLA DI REPRESSIONE
Nella riforma esiste poi una seconda parte, dedicata al voto di condotta. Di fatto questa parte della riforma consiste in un’implementazione delle sanzioni disciplinari.
Dall’entrata in vigore del provvedimento, per i voti in condotta inferiori al 9 saranno ridimensionati i crediti formativi e dunque ne risentirà anche il voto di maturità; con il 6 si potrà rimandare e il 5 si applicherà non più solo a chi compie reati, ma anche a chi infrange il regolamento di istituto. Inoltre la sospensione potrà arrivare a comportare “lavoro di cittadinanza solidale”.
Il ministero, dopo aver rispolverato una formazione tecnica che somiglia molto al gentiliano avviamento al lavoro, introduce “novità” che non hanno nulla di educativo. La scuola del rispetto di Valditara è fatta di punizioni. Più che una reale novità questo sistema educativo sembra rifarsi ad un modello di scuola ottocentesco, fondato sulla punizione e sull’umiliazione, che esclude completamente il ruolo pedagogico del personale docente. Secondo il ministro, infatti, l’autorevolezza dei professori non dovrebbe derivare da un profondo e solido rapporto di crescita e di scambio con gli studenti, ma dal terrore di possibili ripercussioni.
L’obiettivo della scuola non è più, dunque, quello di educare al rispetto reciproco e alla comprensione critica dei ruoli, ma piuttosto quello di impartire la lezione tanto diretta quanto semplicistica e mai idonea ad assolvere una funzione paideutica di “se sbagli vieni punito”. La scuola diventa così un esercizio preparatorio ad una società competitiva basata sulla violenza gerarchica, dove il problema non è prevaricare o meno, ma assicurarsi di essere nella condizione giusta per poterlo fare senza ripercussioni.
Quasi concomitante al “decreto baby-gang”, anche questo provvedimento non fa altro che proseguire sulla strada della criminalizzazione della gioventù. Nessuno si interroga sui motivi del crescente disagio giovanile e della crisi del sistema educativo e non si propone di porre la minima soluzione strutturale al problema. Nemmeno con questa riforma si intende, infatti, aumentare di una sola unità i professori e gli psicologi disponibili nelle scuole, ma si ricorre invece alla trovata propagandistica dello “schiaffo educativo”.
C’è poi da considerare un altro lato che si accompagna all’importanza rispetto al voto in condotta, che ne rivela i reali intenti: rafforzare le sospensioni e ammettere l’insufficienza in condotta e la conseguente bocciatura anche in assenza di reato, ma per la sola violazione del regolamento di istituto, vuol dire attaccare direttamente le proteste degli studenti.
Partiamo dal presupposto che data la maggioranza in un consiglio di istituto, senza nemmeno passare per una votazione nel collegio dei docenti, un regolamento di istituto può recare scritta, in totale autonomia, qualsiasi restrizione. Con gli strascichi del periodo Covid non è improbabile per esempio incontrare regolamenti che proibiscono di circolare tra le classi liberamente. In questo terreno di puro arbitrio, qualsiasi cosa diventa potenzialmente sanzionabile: dalle assemblee straordinarie, alle affissioni fino ad arrivare ai volantinaggi. Con questa riforma verranno implementati gli strumenti per mettere a tacere gli studenti che alzano la voce. Negli ultimi anni, tra sospensioni e denunce, le scuole hanno utilizzato ogni mezzo possibile per limitare le attività di agitazione e protesta. La prospettiva di poter bocciare con questa facilità o di poter compromettere l’esito dell’esame di maturità, rappresenta uno strumento di dissuasione molto potente e un ulteriore limite alla democrazia nelle scuole.
Va poi considerato che gli studenti dei tecnici e dei professionali con la riforma passeranno la metà del proprio tempo in azienda. Già la Buona Scuola prevedeva per i periodi di stage relazioni e valutazioni sul comportamento e il rendimento dei ragazzi redatti dai tutor esterni legati all’azienda ospitante. In questo caso, chi stabilisce cosa è rivendicare i propri diritti e cosa cattiva condotta?
Non c’è da stupirsi, il disegno è chiaro. Il carattere repressivo della riforma Valditara si inserisce in modo coerente nel più ampio quadro di attacco al diritto di sciopero e di pubblica manifestazione già disposto dai vari Decreti Sicurezza, andando a tracciate una linea di continuità inconfutabile tra scuola e mondo del lavoro. In questo modo la scuola viene trasformata in una palestra, dove gli studenti vengono introdotti alla nozione che alzare la testa per rivendicare i propri diritti è considerato reato e come tale viene punito. Una prassi che vorrebbe preparare un’intera generazione di futuri lavoratori ad accettare passivamente e con rassegnazione soprusi, sfruttamento, precarietà e assenza di sicurezza, già abituati a concepire sin dagli anni della formazione l’organizzazione e la lotta come attività perseguibili e non come un importante strumento di riscatto ed emancipazione in mano alla classe lavoratrice.
PER FERMARE LA RIFORMA SERVE UNA GRANDE MOBILITAZIONE DI MASSA
La conclusione che si può trarre rispetto a questo quadro è che la riforma dell’istruzione tecnica e professionale del Governo Meloni non è affatto anacronistica, come ha voluto chiamarla l’opposizione parlamentare. E’ piuttosto un preoccupante arsenale di nuovi strumenti che mettono la scuola al più completo servizio dell’impresa rispondendo puntualmente alle più attuali esigenze. Una scuola che si occupa oggi di assicurare i profitti del domani ai capitalisti. La riforma cancella definitivamente l’idea che l’istruzione di ogni ordine debba essere un processo di maturazione complessivo, che permetta di acquisire strumenti critici e solide basi educative con le quali svolgere nel futuro qualsiasi mansione.
L’unica opposizione reale che la riforma può incontrare è quella degli studenti organizzati e pronti a lottare, non certo quella che viene condotta nelle stanze del Parlamento; del resto l’intero disegno legge muove i suoi passi dalla Buona Scuola e senza il PD non sarebbe stata possibile.
Serve la massima mobilitazione possibile e serve ora. La riforma Valditara è uno dei più gravi attacchi al diritto all’istruzione degli ultimi decenni e rappresenta un punto di non ritorno nel lungo processo di distruzione e aziendalizzazione della scuola pubblica, che inciderà materialmente sul futuro di intere generazioni di studenti e futuri lavoratori. Dobbiamo attivarci sin da subito e spiegare istituto per istituto, classe per classe che gli studenti non hanno nulla da guadagnare in quella che il ministero ci presenta come un’opportunità, perché è una manovra cucita su misura degli interessi dei padroni e delle imprese. Dobbiamo chiarire che la scuola non è uno spazio in cui le aziende possono entrare per insegnarci come garantire al meglio i propri profitti e che non accetteremo passivamente di diventare i loro schiavi. È necessario lavorare per il massimo coinvolgimento e la costruzione di un clima di agitazione in ogni scuola. Da questo dipende se la riforma passerà nel silenzio o meno.