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Industria bellica e ricerca. La complicità dell’università italiana nella strage dei popoli

La crisi dell’economia capitalista, accelerata dalla pandemia di covid-19, ha acuito le tensioni inter-imperialiste a livello mondiale. Tutte le grandi imprese attualmente sgomitano per conquistare quote di mercato, risorse per la riconversione energetica, strumenti di ricerca e sviluppo per la competizione monopolistica. I fondi pubblici iniettati nell’economia, come nel caso del PNRR, hanno solo parzialmente soddisfatto gli interessi della grande borghesia, che necessita di politiche sempre più aggressive per tutelarli.

Non a caso stiamo assistendo ad una corsa al riarmo su scala mondiale che vede coinvolti primi tra tutti i paesi del blocco euroatlantico, il cui obiettivo è omologare la spesa militare al tetto minimo del 2% del PIL, ma anche  paesi come Cina, India e Giappone. In Europa spiccano gli enormi investimenti della Germania, che sta sistematicamente collaborando nella produzione di armamenti pesanti con aziende italiane. Il governo Meloni, in piena linea di continuità con l’agenda Draghi, sta effettivamente incrementando la spesa militare, non solo per adempiere agli impegni del patto atlantico, ma anche per sostenere le necessità delle grandi aziende italiane, che scalpitano per espandere i propri interessi, specialmente in Africa e nei Balcani.

In questo scenario, nel quale lo scontro diretto sul piano militare è una drammatica realtà, viene messo in campo qualsiasi strumento utile all’avanzamento dell’industria bellica. Il complesso delle risorse umane e tecnologiche impiegate nel settore della ricerca in ambito accademico, in primo luogo professori e ricercatori, non va sottovalutato e costituisce un importante mezzo di competizione. Proprio per questo il PNRR ha individuato la necessità di finanziare la ricerca universitaria legandola sempre più alle richieste delle singole imprese con collaborazioni, poli di ricerca pubblico-privati e dottorati nelle aziende. Come tendenza generale per l’istruzione le aziende richiedono sempre maggiore spazio decisionale anche nei piani formativi, pretendendo di piegare la didattica ai loro interessi con sempre maggiore dettaglio e cercando più momenti per “reclutare” i migliori studenti, come nel caso dei career day organizzati in molti atenei.  In particolare, negli ultimi anni, si è intensificata anche la collaborazione tra le università italiane e aziende produttrici di armamenti, come Leonardo S.P.A. o MBDA (multinazionale produttrice di missili e sistemi d’arma di cui la Leonardo detiene il 25%).

Il coinvolgimento degli atenei italiani nei piani imperialisti della NATO avviene tramite legami e accordi con le più grandi multinazionali del settore bellico: una vera e propria rete volta a piegare la formazione, per renderla utile alle loro esigenze produttive. L’ingresso delle imprese nell’università è già stato giustificato e promosso con la retorica dell’adeguamento della formazione alle richieste del mercato, mentre oggi si vorrebbe normalizzare la ricerca per conto di aziende belliche.

Alcuni esempi concreti si possono trovare nell’Università Federico II di Napoli, il cui dipartimento di ingegneria ospiterà giovedì 9 novembre una conferenza della filiale italiana di Northrop Grumman. L’intento è di presentare le figure professionali e le skills richieste dall’azienda ponendo le basi per fare “recruiting”. Nulla di nuovo, del resto anche La Sapienza di Roma promuove tirocini presso la già citata azienda missilistica MBDA.

Probabilmente Leonardo S.P.A. è la principale multinazionale con base in Italia che trae vantaggio da questo contesto, intervenendo negli atenei per assicurare partnership volte alla crescita della azienda in settori che richiedono competenze ingegneristiche elevate. È il caso della Aerotech Academy, cooperazione sviluppata sempre con l’Università degli Studi di Napoli Federico II «che ha l’obiettivo di formare nuove professionalità, di respiro internazionale, nei settori di ingegneria di interesse di Leonardo». Gli studenti selezionati verranno formati in azienda, attraverso seminari e “project work”, 8 ore al giorno per 9 mesi. In sostanza l’ateneo mette a disposizione le proprie risorse e indirizza gli studenti verso un percorso mirato alla formazione delle figure professionali adatte alle necessità produttive della grande multinazionale.

Lo scoppio di nuovi conflitti ha gradite ripercussioni sull’andamento di questo genere di imprese: mentre i civili muoiono e i proletari sono carne da cannone, loro ne traggono grande profitto. Lo attesta l’andamento finanziario di tali gruppi. Non deve sorprendere infatti come nell’ultimo mese le azioni abbiano guadagnato il 13,2% per la controllata statunitense Leonardo DRS, la quale alla fine dell’anno scorso si è fusa con l’israeliana RADA, di cui la casa madre italiana controlla l’80% del capitale (i titoli di Leonardo hanno invece guadagnato il 7,1%). Per la Northrop Grumman abbiamo il rialzo maggiore, pari al 15,8% valutato dal 6 al 20 ottobre.

Va ricordato come la Leonardo sia l’azienda italiana di punta per l’export di armi nel mondo, rendendosi complice della morte di migliaia di civili. Solo nel 2021, secondo il rapporto del Ministero dell’Economia, la Leonardo S.P.A. ha esportato verso Israele una quantità di capitale pari a 13,298,818.14 euro su un totale di 17,716,262.87 euro, ovvero il 75,06%. È eclatante il caso della vendita di 30 M-346 Master, velivoli da addestramento (convertibili in cacciabombardieri leggeri) prodotti dalla Alenia-Aermacchi, azienda appartenente al gruppo Leonardo. Questi velivoli fungono da trainer per i piloti dell’Aeronautica Militare Israeliana, attualmente impegnati nel bombardamento indiscriminato della Striscia di Gaza.

Al programma del M-346 hanno partecipato anche altre aziende belliche: ritroviamo qui la Northrop Grumman Italia azienda leader nei sistemi avionici e filiale della ben nota azienda americana. L’impresa con sede a Pomezia ha fornito al programma dell’addestratore della Leonardo i sistemi di misurazione di assetto e direzione AHRS LISA-200 e inoltre partecipa a programmi missilistici per la difesa aerea quali IRIS-T, FSAF e SAAMP, alcuni in collaborazione con la MBDA.

I governi italiani, di ogni composizione politica, hanno la responsabilità dell’aver permesso e amplificato negli anni gli accordi fra queste aziende e i luoghi della formazione del sapere, permettendo alle prime di scaricare sul pubblico i costi dell’aggiornamento produttivo. Il tutto mentre si cerca di instillare nella gioventù la retorica della “Cultura della Difesa”, andando a normalizzare la guerra e le sue conseguenze, giustificando quindi la presenza di imprese belliche nelle università come qualcosa di necessario e utile.

Bisogna organizzarsi e lottare, per ripulire gli atenei da ogni forma di collaborazione con realtà che basano i propri profitti sulla distruzione e il massacro dei popoli, e rilanciare un nuovo ciclo di mobilitazioni generalizzate contro la guerra e contro il genocidio del popolo palestinese.

 

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