Venerdì 22 marzo, in oltre 30 città italiane, gli studenti sono scesi in piazza organizzando cortei e presidi per la giornata di mobilitazione studentesca promossa da varie sigle di sinistra e collettivi. Nel mirino degli studenti la riforma voluta dal Ministro Valditara, che verrà votata alla Camera dei deputati ad aprile, ma anche i numerosi episodi di repressione e la posizione del governo Meloni nei confronti dei conflitti internazionali, a partire dal massacro in corso in Palestina.
Le mobilitazioni in tutta Italia sono nate in particolare per rispondere ai recenti episodi repressivi che hanno coinvolto tutto il paese. Da Firenze passando per Pisa e Catania la risposta del governo a chi si oppone al genocidio in Palestina, dai luoghi di lavoro fino alle piazze studentesche, rimane quella della repressione. Appare chiaro come questo si inserisca perfettamente nella volontà di difendere lo schieramento dell’Italia nei vari scenari bellici che vanno delineandosi a livello internazionale. L’imperialismo italiano, infatti, non gioca un ruolo secondario -e anzi- mentre le questure si occupavano della repressione in piazza, il parlamento votava all’unanimità, con il favore di Pd e M5s, l’intervento diretto nel Mar Rosso.
Gli studenti che si sono mobilitati questo venerdì hanno colto questo dato. Non si può rimanere indifferenti mentre il governo normalizza la repressione brutale –arrivando a parlare di ordine pubblico per giustificare manganellate e arresti– mentre la nuova riforma dell’istruzione si appresta a rendere le scuole ancora più schiave delle aziende e mentre il governo sostiene apertamente il massacro in Medio Oriente. Cogliere il nesso tra le due potenzia il livello di attacco politico che in questo momento va espresso in tutte le mobilitazioni studentesche nel nostro paese.
Risulta evidente che il governo Meloni vuole far passare sotto assoluto silenzio una riforma che rafforzerà l’integrazione tra scuole e imprese e il sistema dell’alternanza scuola-lavoro, che ha già causato la morte di tre ragazzi. Si tratta di una riforma tanto voluta dalla Confindustria, su cui tutti sono d’accordo, anche l’opposizione, dal PD al M5s, che infatti non solleva il dibattito su un piano pubblico e mediatico. Questa riforma rappresenta un pesante affronto ai tre studenti morti durante lo svolgimento degli stage, Lorenzo, Giuliano e Giuseppe, alle loro famiglie e ai 200 mila scesi in piazza nel 2022 per protestare contro gli stage gratuiti.
Attendere la costruzione della mobilitazione per un momento futuro più propizio significa solo deporre le armi e accettare passivamente gli eventi. Non mobilitarsi significa anche ignorare l’attenzione e la voglia rinnovata di lottare manifestate da sempre più studenti in tutta Italia: dalle occupazioni studentesche a Milano, Bologna e Torino delle scorse settimane, alla raccolta firme contro la riforma Valditara promossa da Caterina Mansueto, presidente della Consulta degli Studenti di Torino, che ha raccolto centinaia di migliaia di visualizzazioni, migliaia di messaggi di sostegno e altrettante firme.
È necessario però compiere un passo avanti per fermare questa riforma dell’istruzione e contrastare i piani del governo Meloni. L’unica possibilità concreta per bloccare questa riforma scuola-azienda è la creazione di un ampio movimento di lotta, capace di raccogliere su larga scala la rabbia di migliaia di studenti per contrastare il sistema criminale della scuola-lavoro. È fondamentale parlare e far parlare di questa riforma pesantissima, che prevede l’introduzione su larga scala della scuola in 4 anni, un grande regalo alla Confindustria e un danno enorme per la formazione di milioni di studenti. La spinta data dal 22 sul piano politico e rivendicativo non può esaurirsi alla singola giornata, ma essere un punto di partenza per organizzare una battaglia più generale contro il governo sui temi che hanno animato le piazze.