di Pietro Zgaga
In senato è stata approvata la riforma delle modalità di accesso ai corsi universitari di Medicina e Chirurgia, che viene presentata dal governo Meloni come un’abolizione del test di ingresso e addirittura del numero chiuso. Nella nota pubblicata sul sito del MUR, la ministra Bernini dichiara: “Stop numero chiuso e test d’ingresso. Ora accesso libero ai corsi di laurea”.
Cosa comporta realmente questa riforma? Il nuovo ordinamento prevede la possibilità di frequentare liberamente medicina per il primo semestre, a gennaio chiunque non abbia superato tutti gli esami previsti verrà automaticamente escluso. Agli studenti rimanenti verrà somministrato un test che, in maniera del tutto analoga al modello attuale, andrà a determinare le graduatorie di ammissione al corso sulla base dei posti disponibili. Nessuna abolizione del test dunque, soltanto un suo slittamento temporale di qualche mese a seguito di una “scrematura” iniziale.
Si tratta quindi di propaganda mistificatoria. Non soltanto perché il test di ingresso rimane saldamente al suo posto, senza intaccare gli aspetti più deleteri delle modalità di accesso ai corsi di medicina, ma anche perché, come vedremo, l’aumento dei posti in graduatoria rivendicato dal governo non garantisce affatto di compensare le attuali debolezze del sistema sanitario nazionale. Sotto questo aspetto basterebbe a dimostrare la natura della riforma il fatto che non venga nemmeno menzionato l’accesso ai corsi di professioni sanitarie, anch’esso filtrato da un analogo test (di cui però non si parla mai). Non è un mistero infatti che le carenze di infermieri e professionisti vari nel sistema sanitario non siano meno gravi di quelle strettamente mediche. Eppure l’accesso a questi corsi non è materia di riforma, benché negli ultimi anni abbia visto un incremento dei posti inconsistente se paragonato a quello per medicina. I più maligni potranno pensare che sia dovuto alla difficoltà di fare propaganda su qualcosa di cui non si parla.
Da anni denunciamo il ruolo rivestito dal numero chiuso nello smantellamento della sanità pubblica a favore di quella privata, fin dalla sua introduzione nel 1999. Questo provvedimento era in realtà un adeguamento a una normativa europea (93/16/CEE), che regolava la formazione degli studenti di Medicina e stabiliva l’equiparazione dei titoli tra i vari Paesi membri. L’obiettivo era facilitare la libera circolazione dei medici in un mercato unico europeo, rendendo necessario limitare la formazione di nuovi professionisti poiché il bacino di medici sarebbe stato esteso a livello comunitario.
Insieme all’insufficienza di posti nei percorsi di specializzazione il numero chiuso si è inserito perfettamente in un ridimensionamento sistematico della sanità pubblica. In occasione dei test si è discusso perfino della necessità di non formare un eccesso di medici (certo una prospettiva terrificante), ma la realtà è che ne sono stati assunti troppo pochi rispetto ai pensionamenti e certo il numero chiuso non ha aiutato. Quel sistema di accesso alla formazione è stato un fattore concorrente alla carenza di personale sanitario che attualmente si riscontra nel nostro Paese: nel 2023, secondo il Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri ed Universitari Italiani, si stimava la mancanza di circa 30.000 medici specialisti e ben 70.000 infermieri. La conseguente chiusura di presidi sanitari pubblici e reparti, unita alle condizioni di lavoro estenuanti negli ospedali in carenza di organico, ha avuto come effetto diretto l’espansione della sanità privata. Non stupisce che sempre meno medici siano disposti a lavorare con turni massacranti, sotto organico ed esposti per questo a maggiori rischi, preferendo spostarsi nel privato (con tutti quelli che il SSN semplicemente non ha assorbito). Il risultato è chiaro: a fine 2022 il numero di strutture private rappresentava il 57% del totale.
Visti i risultati è evidente come il numero degli accessi non sia stabilito sulla base di una programmazione del sistema sanitario fondata sui bisogni della popolazione, ma rientri perfettamente tra quegli indirizzi politici volti a spostare la spesa pubblica da istruzione e sanità verso imprese e privati. Certo è che questa gestione non dispiace a quei settori di borghesia che vedono nella salute pubblica enormi occasioni di profitto.
È alla luce di questi dati che bisogna leggere l’aumento del numero di posti disponibili avvenuto negli ultimi anni. Probabilmente questo incremento servirà a evitare un completo tracollo del SSN a seguito dell’alto numero di pensionamenti atteso per i prossimi anni, senza certo andare a sanare la situazione. Ma non è improbabile che un “eccesso” di medici rispetto a quelli assorbiti dalle strutture pubbliche possa andare a vantaggio del privato. Per certo gli studenti oggi in entrata nelle università pubbliche inizieranno ad esercitare la professione in un panorama dominato dalla sanità privata.
Peraltro, è interessante osservare come l’aumento dei posti vada esplicitamente a contraddire una delle principali argomentazioni usate a sostegno del numero chiuso, secondo la quale le strutture universitarie semplicemente non avrebbero la capacità di sostenere la formazione di un numero maggiore di medici. Certamente queste hanno enormi carenze, un serio aumento della capacità formativa in ambito sanitario richiederebbe quindi un adeguato investimento in questo senso. La riforma non prevede nulla di tutto ciò, come sarà possibile dunque gestire questo primo semestre? In piena sintonia con lo spirito dei decreti spot di questo governo si distribuiranno gli studenti “in prova” tra tutte quelle facoltà che prevedono corsi analoghi nei primi mesi, senza predisporre nulla per il periodo successivo.
Altra comune giustificazione di questo sistema irrazionale è quella per cui “non tutti possono fare il medico”. Questo tipo di argomentazione, che poggia sulla nauseante retorica del merito, punta a qualificare il test di medicina come un filtro che selezionerebbe gli studenti effettivamente in grado di affrontare questo percorso di studi, assicurando la qualità del mondo ospedaliero. La correlazione tra superamento del test, che ricordiamo non viene eliminato, e attitudine per la professione è chiaramente inesistente. Della pretestuosità di questa tesi si rende conto qualsiasi studente degli strati popolari che si sia cimentato nella preparazione del test, che non seleziona affatto gli studenti migliori bensì li divide in due gruppi: chi ha potuto frequentare prestigiosi licei del centro e chi ha frequentato scuole di periferia, chi ha potuto pagare costosi corsi di preparazione privati e chi ha dovuto passare la vacanze a lavorare, chi ha i mezzi per affrontare 6 anni di tasse, caro libri e affitti esorbitanti e chi fatica a permettersi gli studi; i primi vengono chiamati “meritevoli”, i secondi devono tornare con i piedi per terra e accantonare le proprie aspirazioni. Non ci stancheremo mai di ripeterlo: non c’è alcuna meritocrazia se non si parte dalle stesse condizioni.
È sulla base di questa realtà concreta che noi denunciamo il test di medicina come una vera e propria selezione di classe, a prescindere dal fatto che il test si tenga a inizio anno o dopo un semestre. In questo senso l’introduzione del nuovo prerequisito per l’accesso al test, ossia il superamento di tutti gli esami del primo semestre (anatomia, biologia e fisica), accentuerà le differenze di partenza. Come ci si può aspettare che uno studente lavoratore, ad esempio, mantenga il passo di un suo compagno di corso che si può dedicare completamente allo studio? È decisamente più probabile che questa forma di selezione vada a colpire chi è costretto a preparare gli esami nei tragitti da pendolare, chi dovrà saltare le lezioni per lavorare, chi dovrà recuperare anche le lacune derivanti da una scuola di “serie b” senza risorse.
Tutte le stesse ragioni per cui era giusto combattere il numero chiuso e il test negli anni passati rimangono valide. Nulla di quanto prodotto elimina la selezione di classe, incrementa la qualità della formazione o garantisce un miglioramento del SSN. Ai piani della borghesia di fare profitti sulla nostra salute contrapponiamo la lotta per una sanità pubblica, gratuita e universale, per una strutturazione dei corsi di Medicina e Professioni Sanitarie fondata sulle necessità della popolazione, per un sistema di istruzione privo di tutti quegli ostacoli economici che lasciano indietro milioni di giovani ogni anno. In questo orizzonte più ampio si colloca il significato della nostra lotta contro il numero chiuso.