di Giovanni Ragusa
Da alcune settimane i lavoratori della Berco hanno incrociato le braccia davanti ai cancelli della fabbrica di Copparo (FE). Qui, in uno snodo fondamentale tra le provincie di Ferrara e Rovigo, centinaia di operai rischiano di veder calare la scure del licenziamento sulle proprie teste. La notizia è di ottobre 2024, quando la Thyssenkrupp (multinazionale padrona dello stabilimento, già nota per la strage operaia del 2007) avvia la procedura di licenziamento per 550 lavoratori tra le sedi di Copparo e Castelfranco (TV). Si tratta di un taglio del 40% del personale sulla sede emiliana, una sostanziale condanna a morte che apre alla possibile chiusura dello stabilimento. Una procedura che, tra l’altro, si accorpa al ritiro dell’accordo integrativo aziendale, misura pari a circa 3-400 euro in più sulla busta paga.
Già ad ottobre i lavoratori si erano mobilitati aderendo ad uno sciopero generale della categoria metalmeccanici, a cui il 14 novembre aveva fatto seguito il ritiro dei 480 licenziamenti di Copparo da parte dei vertici della fabbrica. Tuttavia si è trattato di una vittoria solo temporanea, perchè dopo due settimane era arrivata la richiesta di licenziamenti volontari, che ha posto i lavoratori di fronte ad un ulteriore ricatto: per ottenere la cassa integrazione, i lavoratori devono rinunciare per sempre a discutere del Contratto Integrativo Aziendale e di ogni contrattazione inerente agli ammortizzatori sociali. Di fronte all’arroganza padronale, però, la dignità operaia alza la testa, e dal 5 febbraio lavoratori e lavoratrici sono tornati ad incrociare le braccia.
Dopo più di 100 ore di sciopero accumulate, pochi giorni fa è arrivata un’altra notizia che alza il livello dello scontro. Alcuni responsabili e preposti vengono scoperti a lavorare di notte per sabotare il blocco delle merci che il resto dei lavoratori stavano portando avanti da settimane. Una manovra aziendale – denunciano le RSU – per aggirare e indebolire il diritto di sciopero. Di fronte a tutto ciò, viene convocato nuovamente uno sciopero di 8 ore nella giornata di ieri [28 febbraio], che preannuncia un nuovo ciclo di agitazione. Ad oggi sono ancora 480 i posti di lavoro in pericolo a Copparo, in una provincia che resta la più povera dell’Emilia Romagna, con i più alti tassi di disoccupazione giovanile e di abbandono scolastico in regione (rispettivamente 10,6% e 6,2% su medie regionali di 8,7% e 3,2%).
Solo in questa sede, fino al 2013 si contavano 2300 dipendenti. Oggi si è arrivati a 1050, un taglio su più della metà della forza lavoro, giustificato con la solita estenuante cantilena che siamo stati abituati a subire negli anni: riduzione della produzione, concorrenza estera, aumento dei costi su materiali ed energia, “riallineare i livelli occupazionali alle mutate esigenze del mercato”. Lacrime di coccodrillo da parte di chi vede aumentare costantemente i propri profitti e i propri dividendi, mentre le condizioni di vita dei lavoratori peggiorano ogni giorno di più: salari sempre più bassi, precarietà galoppante, repressione che avanza in ogni luogo di lavoro e un’incidenza della povertà assoluta che è arrivata a interessare il 16,5% delle famiglie operaie solo nel 2023 (nel 2022 erano il 14,7%), mentre la povertà relativa passava dal 16,8% al 18,6% nello stesso tempo.
Quello che sta accadendo a Copparo è solo il tassello di un mosaico più ampio, che costituisce il piano complessivo di attacco dei padroni alla classe lavoratrice. Un attacco condotto con tutto l’appoggio del governo Meloni, che si conferma il miglior alleato della borghesia italiana nel gestire l’ennesima crisi economica in nome della liberalizzazione del mercato del lavoro e della “competitività”. Alla Berco si sta verificando un copione che già abbiamo visto ripetere negli anni più e più volte, anche con i vari governi di centrosinistra: svendita totale dei siti produttivi, delocalizzazione, licenziamenti, attacchi ai salari, precarietà ed ammortizzatori sociali usati a pioggia. Il tutto mentre il governo conferma la complicità dell’Italia nei più ampi piani di guerra imperialista a livello internazionale, drenando risorse dalla spesa sociale e assicurando in ogni modo che la produzione non incontri blocchi con misure come il DDL 1660.
Nel pieno di una situazione così drastica, i lavoratori Berco hanno potuto contare sulla solidarietà di studenti e giovani lavoratori del Fronte della Gioventù Comunista, che ieri hanno presidiato la fabbrica insieme a loro. Il FGC ha rimarcato, con la propria presenza, la necessità di legare le lotte di studenti, disoccupati e lavoratori. Occorre sostenere le lotte degli operai metalmeccanici per la difesa del posto di lavoro, occorre ribadire la necessità di un controllo operaio sulla produzione. È necessario farlo oggi, a maggior ragione, contro i piani di svendita dei consigli di amministrazione utili ai padroni per ottimizzare i profitti, ma dannosi per gli operai e per le loro famiglie. Tanto più con un rinnovo del CCNL ormai imminente.
La storia dei metalmeccanici in Italia è gloriosa: il loro contributo alle conquiste più avanzate del movimento dei lavoratori in questo paese è immenso ed occorre oggi ripartire da queste radici e dal protagonismo operaio per non tornare ulteriormente indietro.