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Intervista a Monica, mamma di Mattia Battistetti. Basta morti sul lavoro!

Quella che riportiamo di seguito è l’intervista a Monica, mamma di Mattia Battistetti, operaio di 23 anni ucciso, mentre lavorava in un cantiere edile della ditta Bordignon, da un carico di 15 quintali, caduto da una gru a causa della scarsa manutenzione dei macchinari presenti nel cantiere. Riteniamo importante far conoscere la battaglia che da anni la mamma di Mattia sta conducendo per ottenere “giustizia” dal punto di vista giudiziario, in quanto insegna a tutti noi la tenacia nell’opporsi ad una società barbara che mette al centro il profitto.

Proprio dalle parole d’ordine “O LE NOSTRE, O I LORO PROFITTI”, con cui abbiamo partecipato alle ultime udienze, crediamo che sia importante rilanciare, partendo dalle battaglie specifiche, una lotta più generale contro questo sistema dove ad essere tutelati, a discapito della maggioranza, sono gli interessi di un pugno di parassiti. Il capitalismo, giorno dopo giorno, esprime questa contraddizione insanabile tra la possibilità di un’esistenza piena per i lavoratori ed il popolo e l’ingordigia illimitata di profitto dei padroni. Compito dei comunisti è sostenere lotte come questa e riportarle nella lotta più generale per la costruzione di una società radicalmente diversa. Non c’è più tempo da perdere.

 

I: Monica, intanto ti ringraziamo per averci voluto rilasciare questa intervista. Ci rendiamo conto che non è facile affrontare in maniera diretta e cruda questo tema, che è causa certamente di molto dolore. Ci vuoi raccontare cosa è successo il 29 aprile 2021 e i successivi sviluppi?

 

M: Come ogni mattina Mattia si è alzato e abbiamo fatto colazione insieme; facevamo colazione molto presto, alle 5 del mattino, perché poi lui alle 6 doveva essere nella ditta dove lavorava. Mattia non lavorava per la ditta Bordignon; lui lavorava per la ditta Altedil (Ponteggi Trevignano), in subappalto. Montava ponteggi, mentre la ditta Bordignon si occupava di costruzioni edili. Quando arrivava al lavoro, per tranquillizzarmi, mi mandava il messaggio: “Mamma, guarda che sono arrivato, tutto bene”. E, fatalità, quel giorno lavorava qui a Montebelluna, nel nostro paese, perché lui di solito era sempre fuori, molto distante, in tutto il Friuli.

Io insegno, era un giovedì, avevo il giorno libero e stavo facendo le solite faccende di casa. Verso le 08:30-8:40, sento un’ambulanza: noi abitiamo a 50 metri dall’ospedale di Montebelluna, quindi di ambulanze ne passano centinaia ogni giorno. Quell’ambulanza però mi ha fatto una sensazione stranissima, cioè mi ha preso proprio lo stomaco, il cuore… tant’è che mi sono fermata. Mi son detta: “Ma che strana questa sensazione: ho fatto anche colazione”, quasi come se mi sentissi di svenire. Nell’attimo in cui stavo proprio realizzando questo pensiero, mi squilla il telefono. Corro a rispondere ed era il titolare di Mattia, che mi disse: “Guarda Monica, corri in cantiere perché è successo qualcosa di grave. Non so cosa sia successo, però passa a prendere tuo marito, andate insieme.” Mi ricordo che in quel momento ho lasciato tutto quello che stavo facendo, sono partita e ho telefonato a mio marito. Era tutto talmente assurdo che non riuscivo neanche a capire il numero da comporre per chiamarlo. Sono passata a prenderlo, perché lui lavorava a quel tempo in ospedale in un laboratorio analisi; al che siamo andati giù al cantiere.

Quando siamo arrivati avevamo già capito che qualcosa non andava, c’erano i pompieri, c’era l’ambulanza, e i carabinieri. C’era di tutto. La prima cosa che abbiamo fatto era quella di volere entrare in cantiere, che però era già stato transennato; quindi ci siamo messi ad urlare, vi lascio immaginare. E mi ricordo che dopo un po’ che urlavamo che volevamo entrare e non ci lasciavano, è uscita una dottoressa e si è diretta verso di noi.
Le ho detto: “Sono la mamma di Mattia, mi dica, ma cosa è successo? Quando posso vederlo?”.
Mi fa: “No, signora, non potete entrare in cantiere.”,

Mi scusi, ma perché, è morto?”.

E lei, così come ve lo sto dicendo ora, ha detto: “Sì, suo figlio è morto”.

È stata…dura. Anche perché, insomma, non c’è stato un minimo di tatto in questo frangente. Non che pretenda chissà che cosa, però ecco, in un frangente del genere non ci si comporta così neanche con le bestie.

Comunque è andata così e poi naturalmente ci siamo sentiti male. Mio marito conosceva i soccorritori essendo dipendente dell’ospedale. I ragazzi che erano venuti con l’ambulanza ci hanno consigliato di venire al pronto soccorso per le cure. Lì non ti dico: medicine, valium a manetta e… così via, perché stavamo veramente male. Dal pronto soccorso abbiamo cominciato le telefonate perché, fatalità, quel giorno dovevo muovermi con mia mamma che ha 80 e passa anni e quindi ho detto: “Guarda, vieni, che mio marito si è sentito male”. Mica potevo dirle di Mattia. Ho avvertito anche mia figlia che era lavoro. E così è partito il dramma.

I titolari dell’azienda si sono recati nel cantiere alle 12:00 e non si è capito bene il motivo per cui sono arrivati così tardi dato che l’azienda comunque dista 3 km da dove è accaduto l’incidente. Nel frattempo, la ditta Bordignon, già quel pomeriggio, aveva continuato a lavorare nel fabbricato immediatamente vicino a dove è morto Mattia. Quindi lascio immaginare anche il rapporto che abbiamo avuto noi con questa azienda. Non ci hanno mai mandato un telegramma, né un messaggio, solo un generico “Per qualsiasi cosa ci siamo”. L’unica cosa concreta che hanno fatto è stata mettere il capo cantiere – il quale tra l’altro quella mattina non era neanche presente al momento dell’incidente – il giorno del funerale a distribuire delle calle (ndr dei fiori) alle persone. Non immagini che rabbia mi fa questa cosa.

I: Quindi praticamente l’azienda quel giorno ha continuato a lavorare come se nulla fosse?

M: Non si sono fermati di fronte a nulla perché dovevano finire la costruzione delle due palazzine di appartamenti. Infatti, il cantiere dove è morto Mattia è stato dissequestrato al mattino e prima di mezzogiorno erano già ripartiti a lavorare. Il problema è che stiamo parlando di ditte in sub-appalto perché effettivamente operai della Bordignon ce n’erano pochi. Però all’azienda interessa il profitto, perché se non fosse stato così, in quel maledetto cantiere ci sarebbe stata più sicurezza. Non c’erano vie di fuga, non c’era nulla. Per intenderci: quando sono partite le indagini eravamo convinti che ci fosse qualcosa che non andava. Abbiamo fatto intervenire quindi gli ispettori del lavoro di Vicenza, i quali hanno riscontrato che praticamente la gru che aveva causato la morte di Mattia non aveva subito nessuna revisione; era più vecchia di Mattia perché era del 1991 e il bullone che praticamente andava a tenere il carico non era stato sostituito, ma era stato martellato dentro. Il bullone costava 50 centesimi – non sto parlando di migliaia di euro; 50 centesimi è costata la vita di mio figlio.

Tutto ciò ci ha fatto stare male. In quei giorni, assieme al sindaco di Montebelluna, che era il nostro medico curante, avevamo chiesto alla ditta Bordignon che il pezzettino di terra dove era caduto Mattia non venisse cementificato, ma rimanesse un pezzo di prato in sua memoria. La risposta di questa ditta “molto sensibile” è stata quella di mettere un tombino per le fogne, neanche simmetrico all’altro edificio, proprio per centrare il posto dove è venuto a mancare Mattia. Anche durante l’ultima udienza, quando i giornalisti mi hanno chiesto se sono pronta al perdono ho risposto: “Mi dispiace io non sono pronta a perdonare a nessuno”. E a chi ha ucciso mio figlio ho detto, il giorno del funerale: “farò giustizia”.

I: Non è scontato reagire in questa maniera ad un fatto del genere. È capitato, purtroppo, che in situazioni di stragi sul lavoro i familiari, presi dallo strazio e dal dolore, non riescano materialmente ed emotivamente a continuare la battaglia processuale. Dove hai trovato la forza per reagire? C’è stato un momento in cui dentro di te è scattato qualcosa?

M: Io penso che sia la disperazione di mamma, perché è quello che mi fa andare avanti oltre alla rabbia per quanto accaduto e per quello che sta accadendo. Io ho bussato alle porte di tutti. Ho scritto a Mattarella (il quale mi ha risposto due volte), ho scritto alla Meloni, ho scritto a tutti. Siamo stati dai carabinieri, dal Questore, siamo stati dal Prefetto. Perché voglio giustizia. Lo sto facendo in primis, non posso negarti, per Mattia perché è logico che prima di tutto combatto per lui. Però cerco, come dicevi tu prima, di farlo anche per tutte quelle famiglie che sono soffocate dal dolore e che non hanno la forza di andare avanti; a cui manca la forza fisica, perché, ti dico, è uno strazio ogni volta che io parlo di Mattia. Ma anche la forza economica, perché ricordati che gli avvocati costano. Io insegno come ti ho detto, mio marito lavorava in ospedale. Abbiamo la nostra casetta, ma non abbiamo niente di più. Abbiamo sacrificato una vita. Noi abbiamo fondato anche un’associazione odv per Mattia poco dopo che era mancato a gennaio del 2022, e con questa associazione abbiamo portato avanti varie iniziative fino alle assemblee sulla sicurezza sul lavoro. Però è difficile agganciare le famiglie di chi ha subito questi lutti. Io non voglio esprimere nessuna critica perché mi rendo conto che è difficile sia a livello emotivo che a livello economico.

I: Certo, anche perché comunque anche le aziende hanno gli avvocati e possono permettersi di pagarli bene. Mentre le famiglie, vittime a loro volta delle morti sul lavoro, sono abbandonate a loro stesse nel portare avanti la battaglia.

M: E che avvocati! Posso dirti, che avvocati! La ditta Bordignon è seguita da uno studio che segue tutti i padroni e ricchi della zona quando succedono questi “incidenti” sul lavoro. Poi c’è un altro discorso da fare. Mattia è mancato il 29 aprile. Pochi mesi dopo mi ha chiamato l’avvocato delle assicurazioni, mi ha chiamato e mi ha detto: “Guarda Monica, ti facciamo una proposta: ti presentiamo un assegno e tu puoi mettere tutti gli zeri che vuoi, però sappi che devi uscire dal processo”. Non ti dico cosa ho risposto a questo avvocato… cioè una mamma, io, vado a quantificare la vita di mio figlio con degli zeri? E arriveremo a questo eh, perché ce l’ha detto chiaramente il nostro avvocato: dovremo arrivare a un risarcimento perché in carcere di questi sei imputati non ci andrà nessuno. Va in carcere il papà che ruba la pagnotta di pane perché suo figlio muore di fame. Mentre questi qua che hanno ucciso per profitto rimangono fuori. E bisogna dirlo chiaramente che Mattia è morto per il profitto: non è una morte “bianca”, ma sono omicidi sul lavoro!  Bisogna cominciare a chiamarli col loro nome. Dei responsabili nessuno andrà in carcere, e nel frattempo queste ditte continuano a prendere gli appalti pubblici!

I: Tu ti saresti aspettata che sarebbe stato così difficile combattere – uso proprio la parola “combattere” – contro queste aziende? Perché magari pensiamo ingenuamente che ognuna di queste aziende viaggi un po’ per conto proprio. Invece sono estremamente organizzate: il fatto che ci sia un avvocato che segue tutte le aziende del territorio espressamente per queste vicende spiega proprio lo natura strutturale di questi fenomeni e come i padroni siano capaci di difendere i loro interessi.

M: Ti dico, io non mi sarei mai aspettata di dover combattere tanto così, sinceramente. Anche perché, quando è iniziato il processo per Mattia nel 2023, era la prima volta che entravo presso un tribunale. Noi eravamo, come ti dicevo prima, una famiglia semplice, no? Io di avvocati, di queste cose, non avevo nessuna esperienza. Men che meno avevo conoscenza di questi grandi padroni o delle dinamiche che c’erano dietro. Quindi sì, sapevo che Bordignon era una potenza, però nulla di più. Per farti capire: con l’Associazione per Mattia abbiamo fatto varie iniziative nei vari paesi limitrofi senza nessun problema, cioè organizzavamo senza alcun problema diverse cose. Qui a Montebelluna qualsiasi attività che portiamo avanti come associazione, per tenere alta la memoria di Mattia – e torno a ripeterti, per tutti i Mattia che ogni giorno muoiono nei cantieri – è impossibile. Tu non puoi immaginare le carte da compilare, cosa non mi facciano fare tra autorizzazioni, Prefettura e Procura. E anche il nostro sindaco, lo abbiamo mai visto? Quando lo invito a qualche evento o qualcosa, ha sempre consiglio comunale.

I: Quando sei intervenuta per l’iniziativa politica che abbiamo organizzato a Torino nell’anniversario della strage di Brandizzo ci è rimasto impresso quello che avevi detto: “Faccio questa battaglia perché non voglio che altri giovani, altri Mattia, non tornino più a casa. Lo faccio per tutti i Mattia che ogni giorno muoiono nei cantieri”. E ogni giorno sappiamo che muoiono circa tre lavoratori in media sul posto di lavoro, una strage quotidiana. Il nostro giornale viene letto da ragazzi giovani, da ragazzi delle scuole superiori e dell’università; per tutti loro e per tutti noi la tua tenacia è un esempio. Che messaggio manderesti a questi ragazzi? Che cosa faresti arrivare a loro per dare voce, come dicevi tu, a tutti Mattia che ogni giorno muoiono?

 

M: Mattia era un ragazzo come voi. Quello che io posso dire è che quando entreranno nel mondo del lavoro devono assolutamente osservare e lavorare in sicurezza. Lo so, purtroppo, e mi è stato detto da parecchi ragazzi che ho avuto modo di incontrare, che è difficile andare dal datore di lavoro e rifiutarsi di fare un lavoro perché magari non sei in sicurezza. Se ne parlava anche l’altro giorno che siamo stati a Brescia ad un evento dove è intervenuto un ragazzo, un gruista, che purtroppo aveva fatto un danno. Ha detto: “Io l’avevo segnalato, l’avevo detto, però il problema sapete qual è? Che il datore di lavoro ti diceva: intanto fallo, poi vediamo. Se ti rifiuti, da domani mattina trovati un altro lavoro”. Quindi io veramente, urlo ai giovani: lavorate in sicurezza, perché ricordatevi che la vita umana è una. E quando l’avete persa, basta, non c’è più, non c’è più niente; quindi anche questi giovani devono farsi forza e devono pretendere la sicurezza perché poi quando succedono le disgrazie è tutto irreparabile.

I: Assolutamente vero. Il ricatto del posto di lavoro è davvero qualcosa di pesante e concreto.

M: Sì, perché al giorno d’oggi chi non ha bisogno di lavorare? E purtroppo questa è la situazione del mondo del lavoro e nella quale viviamo. E poi c’è anche il discorso degli appalti e dei subappalti, ci sarebbe tutto un discorso da fare anche relativamente a questo. Perché ci sono ditte che addirittura lavorano nello stesso cantiere ma non si conoscono neanche.
Io ho sempre in mente questa ditta edile che era del meridione, dove questi ragazzi mangiavano sul marciapiede. Io mi sono fatta tutta l’estate del 2021 in cantiere a far foto; sono stata diffidata dalla Bordignon, non ti dico cosa non mi hanno fatto, ma non me ne è fregato niente. Ho continuato ad andare avanti e ti dico: mi facevano pena sti ragazzi giovani che mangiavano un panino in pieno agosto seduti sul marciapiede, sotto al sole cocente. Questo padrone fa centinaia di migliaia di euro sulla pelle dei lavoratori. E non mi venga a dire che un piatto di pastasciutta sfasava il bilancio!

I: In conclusione, vorremmo sapere quali sono i prossimi passaggi dell’iter giudiziario…

M: I prossimi passaggi cruciali sono il 13 marzo, il 28 aprile e il 12 maggio. Queste date sono già state calendarizzate. Verranno sentiti i testimoni dei sindacati della Cgil, della Cisl e dell’AMNIL che ci sono costituiti anch’essi parte civile. In ogni caso è fondamentale e dà forza a questa battaglia anche la presenza popolare, degli operai, delle persone: non entrare insomma in Aula da soli. Per esempio, all’udienza precedente in Aula c’erano 150 persone, quindi per noi è stata veramente una cosa grande. Anche perché non c’erano solo persone della zona, ma erano presenti lavoratori della SAME, che avevano partecipato ad un’assemblea in precedenza, e della Lamborghini. Il 20 febbraio, alla scorsa udienza, c’era in Aula con noi anche Carlo Soricelli, che è il curatore dell’osservatorio nazionale “Morti sul Lavoro” di Bologna, con il quale abbiamo fatto anche varie iniziative. A tal proposito, abbiamo partecipato al muro delle farfalle bianche che è stato inaugurato a piazza Maggiore a Bologna il 1° maggio, dove ci sono praticamente 300 volti di ragazzi, uomini e donne, morti sul luogo di lavoro. Abbiamo presenziato alla mostra fotografica sui morti sul lavoro sempre a Bologna, organizzata da Carlo con la Fondazione Carisbo. Per quello il sostegno è importantissimo per ottenere giustizia per Mattia e per tutte le morti sul lavoro.

I: Ti ringraziamo ancora una volta Monica per la disponibilità mostrata nel parlare con noi. Ovviamente rinnoviamo non solo la nostra solidarietà, ma anche l’impegno ad essere presenti durante le udienze, per dare forza e fare pressioni affinché l’azienda paghi per le sue responsabilità. La tua lotta è diventata anche la nostra e la sosterremo fino alla fine.

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