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Lavori tipicamente femminili, un riflesso della doppia oppressione

* traduzione a cura della Commissione Femminile del FGC

“Il ventesimo secolo è il secolo della liberazione della donna”, questo mi hanno detto una volta in una lezione di storia. Bene, un’inchiesta dell’agosto del 2014, in cui ragazzi e ragazze di meno di 16 anni rispondevano alla domanda: “che vorresti fare da grande?”, ha dimostrato che le cose non sono cambiate molto.  I ragazzi: il calciatore, poliziotto e ingegnere. Le ragazze, insegnanti, medici e veterinarie. Tra le tante riflessioni, voglio sottolineare quanto segue: nonostante la progressiva integrazione della donna nel mondo del lavoro di un centinaio di anni fa, si ripetono schemi di divisione sessuale del lavoro, con origini ben definite. Nonostante ciò, prima di tutto, è opportuno ricordare che la donna della classe operaia ha sempre lavorato, anche se questo non le è stato riconosciuto.

Perché alcuni lavori sono riservati quasi esclusivamente agli uomini o alle donne? Oggi diremmo che questo non è del tutto vero, dal momento che le donne possono essere calciatrici, poliziotte o ingegnere. Lasciamo da parte il fatto che il calcio femminile sia sottovalutato rispetto al maschile, le difficoltà che le donne hanno affrontato e continuano ad affrontare per accedere ai corpi di sicurezza dello Stato o alle forze armate, o la disuguaglianza salariale che subiscono la piccola percentuale di donne ingegnere rispetto ai loro colleghi maschi. Concentriamoci su quello che hanno in comune la scelta di insegnante, medico o veterinario, professioni oggi ideali per molte ragazze.

Come mostrano questi sogni infantili, l’educazione dei bambini, la cura di infermi e anziani, ma anche la cucina e la pulizia, sono compiti tradizionalmente affidati alle donne. La spiegazione che si è data a questa attribuzione è una supposta innata capacità delle donne di svolgere questi compiti, probabilmente derivata dalla loro natura riproduttiva. Così noi donne, per l’essere in grado di generare figli, siamo più capaci degli uomini nell’educazione e nella cura dei bambini e della casa?

Si chiama divisione sessuale del lavoro, per cui la donna è addetta alla casa e all’educazione dei bambini e ai lavori domestici. Così, la donna lavoratrice, insieme al lavoro retribuito, ne gestisce un altro, senza remunerazione, all’interno della famiglia. Questa si chiama doppia giornata lavorativa, di cui milioni di casalinghe sono, ancora oggi, vittime. Una doppia giornata che è testimone della doppia oppressione che soffre la donna operaia, oppressione economica, per il sistema capitalista, ogni qual volta lavora, e oppressione di genere per il potere maschile, per i tempo che è donna.

Storicamente, il servizio domestico ha offerto posti di lavoro alle giovani donne della classe operaia, così come oggi la pulizia in edifici o case private continua a essere un campo riservato per le donne. Un’altra figura che lungo i secoli ha avuto una forte connotazione femminile è la tata, incaricata della crescita e dell’educazione dei figli di famiglie borghesi, più agiate. Allo stesso modo, vediamo questo modello ripetuto nella schiacciante maggioranza delle donne nel baby-sitting e nella scuola materna.

Un altro esempio molto eloquente è quello delle ragazze alla pari. Una ragazza alla pari è una donna di meno di trent’anni che per un tempo determinato (da uno a 18 mesi) lavora per una famiglia di un paese straniero, si occupa dei bambini, per vitto, alloggio e un piccolo stipendio in cambio. Le funzioni della ragazza alla pari vanno dalla cura dei bambini in assenza dei genitori, aiuto nei compiti, accompagnamento alle attività extrascolastiche, insegnamento della loro lingua madre e il gioco, fino, in molti caso alla gestione dei lavori domestici e della cucina. E anche se esiste la figura del ragazzo alla pari, come anche uomini baby-sitter, la loro presenza è quasi aneddotica, poichè le famiglie preferiscono che sia una donna a occuparsi dei propri figli. Come se una donna di 18 anni sia più adatta a un lavoro non qualificato, mal pagato e pieno di abusi rispetto a un uomo della stessa età.

Dunque, la lotta delle donne per la libertà da questo ruolo sociale che ci persegue da tempo immemorabile deve essere legata alla lotta dei nostri compagni e della classe operaia nel suo insieme. Perché oppresse per essere donne e per essere operaie non dobbiamo rassegnarci a questo ruolo secondario. Né tanto meno possiamo permettere che gli uomini che abbiano una vocazione verso questi mestieri, siano socialmente disapprovati per il lavoro che svolgono. Solo un femminismo di classe, che capisca che non ci sarà emancipazione della donna senza l’emancipazione della classe operaia, potrà rompere le catene più profondamente avvinghiate. Come diceva Rosa Luxemburg, lottiamo insieme per un mondo in cui siamo socialmente uguali, umanamente diversi e totalmente liberi.

articolo originale: http://tintaroja.es/feminista/910-trabajos-tipicamente-femeninos-un-reflejo-de-la-doble-opresion

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