* di Edoardo Genovese
La grande macchina propagandistica degli Stati Uniti, bisogna ammetterlo, funziona bene. Ogni qualvolta si mette in moto riesce a convincere decine di milioni di persone della giustezza, presunta, delle sue azioni.
Correva l’anno 1941: la Germania nazista aveva già sconfitto la Francia e si stava preparando a invadere l’Unione Sovietica. Gli Stati Uniti ne venivano da una ferrea politica isolazionista e non avevano più intenzione di entrare in un conflitto europeo: la Prima Guerra Mondiale e la crisi del 1929 erano ancora fresche nella memoria degli elettori statunitensi. Tuttavia, nel marzo del 1941, fa la sua comparsa negli Stati Uniti di un nuovo fumetto, estremamente partiottico: Capitan America.
Creato da Joe Simon e Jack Kirby, il nuovo supereroe di casa Marvel rappresentava in pieno l’orgoglio patriottico, anche se oserei dire nazionalista, degli Stati Uniti d’America. Gli stessi autori confermarono la scintilla politica che li decise a creare “Cap”: gli Stati Uniti, portatori di democrazia e libertà, avrebbero combattuto l’Europa imperialista, rappresentata tout court dalla Germania di Hitler, grazie ai servigi di Capitan America che, grazie a un particolare preparato chimico, si è trasformato in un supersoldato pronto a sconfiggere la barbarie europea a favore della libertà “made-in-USA”.
Finita la guerra, ridisegnata l’Europa, Capitan America doveva ritrovare uno spazio all’interno della vita politica e sociale americana: ecco come l’ex avversario dei nazisti si trasforma in uno spietato cacciatore di comunisti, in perfetta sintonia con la teoria della divisione del mondo in due blocchi e il conflitto, seppur mai scoppiato frontalmente, tra l’Unione Sovietica e gli USA. Capitan America ritrova quindi un suo ruolo: come già aveva fatto durante la Seconda Guerra Mondiale, il suo compito è difendere la democrazia e, visti i gelidi rapporti diplomatici tra USA e URSS, la caccia ai comunisti – che, tra l’altro, avviene nel pieno del maccartismo – risulta quindi congeniale alla sua massima aspirazione: difendere la libertà. La macchina propagandistica statunitense, tramite la diffusione del fumetto Marvel, attacca duramente i comunisti e, di conseguenza, l’Unione Sovietica.
Capitan America, tuttavia, perde un po’ del fascino anni ’40 che lo aveva catapultato sulla bocca di ogni cittadino statunitense. Stan Lee, notissimo disegnatore, decide di riprendere Capitan America trasformandolo leggermente: la critica politica intrinseca del fumetto non è più verso l’esterno ma verso l’interno del Paese, nelle problematiche che si stavano vivendo come, ad esempio, la segregazione razziale. Capitan America perde la sua transazionalità, smette di esportare democrazia: siamo nel 1964 e gli Stati Uniti stanno bombardando il Vietnam, controllato dai suoi ex-nemici.
La sconfitta statunitense in territorio vietnamita e la grande mobilitazione all’interno degli USA da parte di movimenti per la pace hanno lasciato profondamente segnata la classe politica nord-americana tanto che, per alcuni anni, la macchina propagandistica di massa fu adoperata in un leggero minor uso verso l’esterno.
Nel 1985 i fumetti sono quasi fuori moda e Hollywood è ormai un’istituzione americana, ancor di più rispetto agli anni ’40-’50 dove tuttavia rappresentava la “patria del cinema”. Proprio nel 1985 esce nelle sale cinematografiche americane il sequel di Rambo, Rambo II. L’ex berretto verde, già torturato in Vietnam, deve scontare l’ergastolo per alcuni omicidi commessi nel primo film, scaturiti da impeto di rabbia contro le istituzioni statunitensi che, secondo l’ex-militare, aveva abbandonato a loro stessi i reduci della guerra in Vietnam. Tuttavia, a John Rambo, viene offerta la possibilità di redimersi: la sua missione consiste nel recarsi in Vietnam e ottenere delle prove sulla presenza di prigionieri statunitensi in presunti lager. Rambo accetta e, arrivato nello Stato dove alcuni anni prima vi aveva combattuto, scopre la grande atrocità del popolo vietnamita: torture di massa verso i prigionieri statunitensi, crocifissioni degli stessi, e altro. Il governo statunitense non voleva tuttavia che la presenza dei prigionieri di guerra fosse confermata e, appena saputo che l’indomito Rambo ne aveva liberato uno, lo abbandonarono in Vietnam: il coraggioso ex-berretto verde viene quindi circondati dai malvagi comunisti vietnamiti (e sovietici) e torturato. Riuscito a liberarsi, la sua vendetta è stata implacabile. Rambo è quindi una “propaganda al contrario”: invece che denigrare subito il Paese che verrà invaso, viene fatto a posteriori nella logica di infamazione solo perché tale Paese è comunista e alleato dell’URSS. I sovietici, infatti, non mancano nel cast di Rambo II.
Rimaniamo nell’anno 1985. Il film di Rocky Balboa è già al 5° appuntamento con il pubblico statunitense. Pur non avendo mai palesato propaganda politica, le pressioni governative nel 1985, dove i rapporti non idilliaci con l’URSS pesavano fortemente sulle scelte politiche, vede contrapporre l’eroe statunitense (con radici italiane) Rocky Balboa contro un terribile avversario: l’imponente e violentissimo Ivan Drago che aveva già ucciso al secondo round l’amico ed ex-avversario di Rocky, Apollo Creed. La sete di vendetta di Rocky gli fa accettare condizioni terribili per l’incontro, che si terrà a Natale a Mosca, in territorio nemico: tuttavia, l’eroe statunitense non ha paura, si allena duramente – mentre il suo avversario russo si gonfia di steroidi e anabolizzanti – e si prepara per l’incontro. Dopo un inizio non entusiasmante, Rocky prende in mano la situazione e sconfigge il gigante russo: alla fine dell’incontro pronuncia uno smielato discorso di amore tra sovietici e statunitensi e, il primo ad applaudirlo, fu proprio il Premier sovietico, stranamente rassomigliante a Gorbačëv. Ma non è questo discorso finale a cancellare l’infamia statunitense verso i sovietici, rappresentati come dei killer senza scrupoli che, pur di sconfiggere gli avversari, si riempono di steroidi e anabolizzanti invece che allenarsi normalmente e faticosamente, come invece fa Rocky.
Con la fine della Guerra Fredda e la caduta del blocco sovietico, gli Stati Uniti si sono trovati quasi “a corto” di nemici non democratici. Proprio nel 2001, poco dopo l’attentato alle Torri Gemelle, torna sulla scena Capitan America: per sventare un attacco terroristico da parte di un terrorista islamico, lo uccide in diretta mondiale e, per evitare ritorsioni sulla cittadinanza americana, si toglie la maschera e si mostra pubblicamente. Nel 2001 esce nelle sale cinematogafiche Behind Enemy Lines che racconta la storia di un soldato americano abbattuto dalla contraerea serba durante la guerra del Kosovo e che dovrà sperimentare la crudeltà dell’esercito serbo: verrà tenuto prigioniero in un bosco abbandonato al freddo balcanico: nello stesso anno il Presidente serbo Miloševic viene arrestato e, cinque anni dopo, viene trovato misteriosamente morto nella sua cella a L’Aia.
Tornando leggermente indietro nella “timeline”, nel 1999 con Bill Clinton viene ufficialmente coniata la denominazione “stato canaglia” (rogue state) per identificare quei Paesi che, secondo gli USA, fossero dittatoriali e contro i diritti dell’uomo: il termine fu coniato per la prima volta nel 1980 per riferirsi a Gheddafi da Ronald Reagan.
Nella lista degli “stati canaglia” pochi Paesi hanno avuto l’onore di farvi parte: dico onore in quanto questi Stati furono contrari alla politica estera egemonica e imperialista degli USA. Gli Stati a far parte della lista sono attualmente Cuba, la Siria, la Corea del Nord, il Sudan e l’Iran mentre ne hanno fatto parte l’Afghanista (invaso nel 2001), l’Iraq (invaso nel 2003), la Jugoslavia (distrutta nel 1991 – con un lungo finanziamento, iniziato dopo la morte di Tito, dei gruppi nazionalisti nei paesi balcanici, – e invasa nel 1999) e la Libia (destabilizzata e portata alla devastazione nel 2011). Tra gli Stati ancora facenti parte della lista, quello ritenuto dagli Stati Uniti il più pericoloso – vale a dire la Corea del Nord – è stato recentemente sottoposto a una serie di attacchi cinematografici che sono, tuttavia, un copione già visto: denigrazione del Paese, propaganda avversa e, infine, invasione o destabilizzazione del Paese (la terza ipotesi è difficile a causa della nucleare nordcoreano, ma un maggiore isolamento prolungato e la giustificazione dell’embargo sono il finale di questa storia di cinema e propaganda).
Il 18 aprile 2013 esce nelle sale cinematografiche di tutto il mondo il film Olympus Has Fallen, noto in Italia come “Attacco al Potere”. La storia narra di un gruppo di terroristi nordcoreani che attaccano e distruggono la Casa Bianca: l’ingente numero di terroristi, armato fino ai denti, viene fermato da un solo uomo, il classico eroe statunitense che mette in saccoccia tutti i nordcoreani. Tralasciando, seppur momentaneamente, la pateticità della rappresentazione di supposti terroristi nordcoreani, che come tutti ben sappiamo sono sulle prime pagine di tutti i giornali, riemerge la solita cantilena: i cattivi, anche se forti e in numero ingente, vengono fermati dal solito eroe-patriota, pronto a tutto per difendere la libertà e la democrazia.
Come non inserire, alla fine di questo breve scritto, l’ormai famoso film The Interview. Dopo un attacco cyber, la Sony aveva deciso di ritirare il film che ridicolizzava sia il leader nordcoreano Kim Jong Un sia il popolo stesso, reo di essere un insieme di scimmie ammaestrate capaci soltanto di obbedire al leader di turno. Gli Stati Uniti, e l’opinione pubblica mondiale, sono concordi sull’assenza di internet nei Paesi comunisti (leggere Cuba); tuttavia, secondo Obama e la CIA, il cyber-attacco sarebbe stato effettuato da hacker nordcoreani: la scoperta è stata effettuata immediatamente a loro dire. Il governo nord coreano declinando ogni tipo di accusa ha addirittura proposto agli USA una commissione d’inchiesta bilaterale, che è stata sdegnosamente rifiutata: ancora una ricerca di dialogo a senso unico purtroppo. Non contenti, gli Stati Uniti hanno hackerato e bloccato la linea internet nordcoreana (che però doveva essere inesistente) e Obama ha dato il via libera all’uscita nelle sale del film.
Il film è nuovo, la trama anche: mai si era arrivati a denigrare un politico così apertamente e ancora vivente. Il copione dell’intera opera propagandistica è però già visto.
Quello che ci si chiede è: a quando un film nordcoreano su Obama? Avrei alcune idee per la trama…