di Emiliano Cervi e Salvatore Vicario
“La lotta contro l’imperialismo, se non è indissolubilmente legata con la lotta contro l’opportunismo, è una frase vuota e falsa” Lenin
Si lo sappiamo: il mondo è in continuo mutamento, gli Stati Uniti sono un impero in declino (e beninteso, anche per questo più pericoloso) e si affacciano con sempre più influenza sul piano internazionale altri paesi che tendono a scalzare chi detiene oggi una posizione dominante. Questo è sicuramente un fatto positivo, da un certo punto di vista: maggiori gli scontri economici e politici tra queste potenze, che Lenin definiva “profonde contraddizioni dell’Imperialismo” (1), maggiori spazi per chi il sistema cerca di superarlo sfruttando tatticamente ogni opportunità che gli scenari politici nazionali e internazionali, in continuo mutamento, possono offrire.
I comunisti devono essere pragmatici e duttili nell’applicare le tattiche di volta in volta, proprio come la teoria marxista-leninista non è un dogma teologico ma uno strumento che ci dà la possibilità di comprendere e analizzare la realtà che ci circonda: ma nel desolante scenario che offre la mini galassia comunista oggigiorno non è raro discutere con chi, portando all’estremo questo pragmatismo finisce per abbandonare non solo la teoria rivoluzionaria per approdare all’opportunismo, ma stravolge la realtà dei fatti. E questo forse è ancora più pericoloso.
L’URSS, la Russia e nuovo corso putiniano
Ecco probabilmente uno degli stravolgimenti più inquietanti (e strampalati, permettetecelo) è quello di accostare quella che fù l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche con la Russia odierna. La “riabilitazione” di un passato glorioso, che passa anche attraverso lo sdoganamento di simboli e rituali propri del socialismo reale e l’aperto antagonismo con gli USA confondono incredibilmente tanti compagni. Non è raro leggere commenti del tenore “viva il compagno Putin!” oppure ” Putin sta ricostruendo l’URSS!”, “lo sapevo sarebbe tornata (l’Unione Sovietica, ndr)”.
Innegabilmente la Russia ha chiuso quel primo periodo post-sovietico di svendita economica, politica e culturale che ha regalato le ricchezze del popolo a grandi speculatori, affaristi e mafiosi legati a doppio filo con gli USA e l’Occidente in generale: non più alcolizzati traditori a guidare il paese ma un “uomo di Stato”, competente e preparato (vista la sua formazione passata nel KGB). Tali fattori combinati insieme hanno contribuito a creare questa immagine, distorta, della realtà. Senza volerci dilungare sulla storia dell’URSS, dobbiamo chiederci in primo luogo cosa fa di uno Stato, un Paese socialista. Il fatto che sia il Partito Comunista a guidare il Paese è necessario (in quanto avanguardia politica del proletariato) ma non fondamentale per determinare la natura del sistema: concentrarsi invece sulla struttura economica può permetterci di dissipare ogni dubbio.
O i mezzi di produzione sono in mano ai lavoratori, e quindi sono stati socializzati, oppure di socialismo non si può e non si deve parlare. Bisogna inoltre prestare attenzione alla differenza che intercorre tra il concetto di socializzazione dei mezzi di produzione e quello di nazionalizzazione: quest’ultimo infatti prevede l’esproprio dei mezzi di produzione per consegnarli all’entità statale ma senza che questo vada ad influire sul reale possesso della proprietà da parte della Borghesia se stiamo parlando di un paese capitalista. Per esempio la proprietà statale di molte imprese strategiche negli anni ‘60 in Italia (energia, acciaio, etc) potevano forse farci dire che l’Italia era un paese socialista? A chi andavano le ricchezze del paese? Ai lavoratori oppure a quella ristretta élite di imprenditori che controllava, e controlla tutt’ora, le redini dell’economia e della politica nazionale?
Per cui il primo fattore da evidenziare, per un comunista, è il cambiamento della struttura economica nei paesi dell’Est, Russia in primis, regrediti a rapporti di produzione capitalistici, a seguito della controrivoluzione, dove la proprietà dei mezzi di produzione è in mano private e dove la produzione e distribuzione della ricchezza è designata non a soddisfare le necessità del popolo, ma ad aumentare i profitti dei capitalisti, ossia di coloro che hanno nelle proprie mani i mezzi produzione. Così se le ricchezze dell’URSS erano a beneficio dei popoli sovietici, portando industrializzazione, servizi, sanità, trasporti, istruzione, sicurezza e pace oggi le ricchezze delle ex repubbliche vanno ad ingrossare il portafoglio dei satrapi di turno, degli speculatori, delle banche e delle grandi imprese: è il legame tra monopoli (pensiamo alla Gazprom, Rosneft, Lukoil, Rusal, ecc…), banche (Sberbank, VTB-Bank, Alfa Bank, Raffeinse Bank, il fondo pensione privato Blagosostoyanie ecc…) e istituzioni politiche che crea di fatto uno stadio superiore, come vedremo più nel dettaglio.
Utilizziamo numeri e statistiche per supportare la tesi: dal grafico sottostante possiamo vedere l’evoluzione che ha avuto l’esportazione di capitale per la Russia capitalista. Agli inizi degli anni ’90 e sostanzialmente fino ai primi anni della nuova decade la quota di capitale russo esportata nel resto del mondo era sostanzialmente irrilevante, sia da un punto di vista statistico che economico. Come già detto in precedenza questi sono gli anni in cui le ricchezze dell’ex-Unione Sovietica vengono svendute e dove il rinascente capitale del Paese viene utilizzato per riappropriarsi di quello che la rivoluzione bolscevica nel 1917 e l’edificazione del socialismo poi avevano conquistato. Avvenne in sostanza una fuga di capitali (circa 15-20 miliardi di dollari all’anno) verso le banche occidentali da parte dei “neo-capitalisti”. Da questo momento in poi però nel capitalismo russo si apre una nuova fase, quella in cui si incominciano a fondere il capitale bancario e quello industriale e dove l’esportazione di capitale incomincia a giocare un ruolo fondamentale: è questa la tendenza che, consolidandosi di anno in anno (la crisi economica mondiale ha solo rallentato questo processo a cavallo tra il 2007 e il 2008) sta facendo della Russia un paese compiutamente imperialista.
A partire dagli anni 2000, lo stock degli Investimenti Diretti Esteri dei monopoli russi è cresciuto enormemente, per raggiungere 406.2 miliardi nel 2012 (44.2 nel 2001). (2)
La Russia e le caratteristiche dell’imperialismo
Secondo la lista Forbes, oggi, ci sono in Russia 110 miliardari, la cui proprietà privata è di circa 320 miliardi di dollari, posizionando la Russia al terzo posto (dopo USA e Cina) in questa classifica. Il cosiddetto coefficiente di Gini per l’analisi statistica della disuguaglianza è pari al 41.7 in Russia.
Andando ad analizzare punto per punto le caratteristiche dell’imperialismo (ci soffermiamo sulle prime tre) enunciate da Lenin, possiamo verificare che la concentrazione della produzione in Russia era già ben sviluppata dall’URSS, pertanto la formazione dei monopoli capitalistici non ha necessitato di molti decenni, ma ha ereditato la concentrazione dell’economia socialista imponendo la proprietà privata dei mezzi di produzione. Nella lista Forbes, tra i più grandi monopoli al mondo ce ne sono 28 russi, tra cui la Gazprom, la Lukoil, la Rosneft e la Sberbank. L’economia russa è altamente concentrata, in molti settori il livello è più elevato che negli USA e nella Germania. Ad esempio, la proporzione dei 10 più grandi monopoli sul PIL della Russia nel 2006 era del 28.9%, negli USA del 14.1%. La maggior parte dei settori dell’economia, l’energia, ingegneria meccanica, trasporti, produzione alimentare è altamente monopolizzata. Possiamo concludere che in Russia abbiamo a che fare col capitalismo monopolistico, altamente concentrato, con una fortissima presenza statale.
Per quanto riguarda la fusione tra capitale bancario e industriale, essa è da tempo avvenuta. La Sberbank è una delle più grandi banche al mondo, ma un ruolo cruciale nell’economia russa lo svolgono anche la VTB-Bank, l’Alfa Bank e la Raffeinse Bank: grandi monopoli bancari sono in stretta connessione o appartenenti ai monopoli industriali stessi. E’ il caso della Gazprom Bank, Uralsib, Promsvjas Bank. Recentemente il Partito Comunista Operaio Russo (RKRP-RPK) ha diffuso sul proprio sito una inchiesta su questo tema, evidenziando una ventina di casi (3), che di seguito descriviamo.
Grafico sulla proprietà degli oligarchi russi
Il gruppo industriale Gazprom possiede la Gazprombank e il fondo pensione privato “Gazfond”. Il più grande gruppo monopolistico industriale russo possiede anche il gruppo assicurativo “Sogas” e gestisce la “Leader”, società di investimento e fondi pensione. Il noto oligarca Vekselberg possiede la Renova Holding (base nelle Bahamas), che possiede il gruppo russo “Renova” società di business internazionale privato costituita da compagnie di gestione patrimoniale e fondi di investimento che possiede asset nelle miniere del metallo, società petrolifere, costruzione di macchinari, nell’industria mineraria, nell’energia, telecomunicazioni, nanotecnologie, nel settore finanziario russo ed estero (. La Renova Group ha forti investimenti e presenze nelle principali aziende russe e internazionali, tra cui società di fama mondiale come UC Rusal, Integrated Energy Systems, Oerlikon, Sulzer and SCHMOLZ+BICKENBACH. Inoltre, la Renova, ha integrato fondi di investimento diretto e società di gestione operanti nel settore energetico (IES, Avelar Energy), nello sviluppo immobiliare, negli investimenti – “Columbus Nova” – telecomunicazioni -“Akado Group” – nell’industria chimica – “Orgsyntes Group” – e nei metalli preziosi – “Zoloto Kamchatki”. La Renova Group investe in Russia, Svizzera, Italia, Sud Africa, Ucraina, Lettonia, Mongolia, Kirghizia ecc… Il gruppo possiede anche la Metkombank che è una delle più grandi banche della Russia, che mira a divenire una delle TOP-50 banche attraenti per gli investitori. Questo grande gruppo bancario detiene lo “Stabilimento di Metalli non ferrosi Kamensk-Ural”, una società di costruzioni – la “Kortros” – e la partecipazione ad altre importanti aziende russe. Allo stesso tempo l’oligarca Vekselberg possiede una parte della “UC Rusal”, la più grande produttrice mondiale di alluminio, ed è co-proprietario della “Norilsk Nickel”, società russa del Nichel e Palladio, estrazione e fusione. Gli oligarchi Alisher Usmanov, Vladimir Skoch e Farhad Moshiri possiedono la “Metalloinvest”, uno dei più grandi gruppi minerari e metallurgici della Russia, specializzata nella produzione dell’acciaio, che possiede la “Lebedinsky Michajlovskij”, impianti di arricchimento minerale, la “Oskol Steel Works”, la “Ural Steel” e altre industrie. Allo stesso tempo possedevano fino allo scorso anno la “Round Bank” (Ex Ferrobank) ceduta all’”amico” Leon Semenenko, che possiede la Hessen Holdings Ltd e la Nenburg Finance Ltd, con basi a Cipro, che possiedono ciascuna il 50% di LLC SibConsultGroup, attualmente unica proprietaria della Round Bank. Usmanov, uno dei più ricchi al mondo, ha costituito nel 2012 la USM Holdings che comprende numerosi investimenti in imprese della telecomunicazione come la “Garsdale” che controlla circa il 50% della “MegaFon”, secondo più grande operatore di telefonia mobile della Russia che a sua volta possiede il 100% della “Scartel/Yota” società di fornitura provider 4G, il 50% di “Euroset” che è il principale rivenditore di telefonia mobile della Russia. Tutte queste società hanno interessi e propri uomini nella Round Bank. L’oligarca Prokhorov possiede una infinità di società, per citarne solo una parte di esse, la “Onexim Holdings Ltd” (con base a Cipro) possiede il gruppo “OptoGaN” produttore di LED ad alta luminosità. Gruppo con sede a San Pietroburgo e attivo in Finlandia e Germania, la cui proprietà è di vari fondi di investimento privati (tra cui appunto quello di Prokorov) e statali. Prokhorov, possiede anche una delle principali società immobiliari russe, la “Opin” e la “Quadra Power Generation” leader del settore elettrico russo. Allo stesso tempo Prokhorov possiede la banca “Renaissance Credit” e la più grande società d’investimento, la “Renaissance Capital”. Inoltre possiede anche una parte della “Rusal”. Vladimir Yevtushenko, uno degli uomini più ricchi della Russia, detiene una quota di controllo (64.2%) delle azioni della “AFK Sistem” che possiede la “MTS-Bank” che controlla direttamente “RTI Group” (la maggior holding industriale russa che sviluppa e produce prodotti di alta tecnologia e tecnologie microelettroniche), l’89% di “Bashneft” (una delle principali compagne petrolifere russe) e il 92% delle reti di distribuzione elettrica “Bashkiria”. Oltre a media e catene di vendita al dettaglio. Oleg Deripaska possiede la compagnia d’investimento “Basic Element”, con azioni nel settore energetico, industriale, dell’aviazione, agro-business, tessile, network e servizi finanziari. Possiede una delle principali compagnie d’assicurazione (joint-stock), la “Ingosstrakh”, la grande banca “Soyuz”, il fondo pensione privato “Socium” che serve i più grandi impianti di produzione di “Basic Element”, una delle più grandi società di leasing della Russia, la Element Leasing. Possiede anche la GAZ Group, leader del mercato russo per veicoli commerciali, produce autobus, autovetture, treni elettrici, componentistica, ecc… Il “re della vodka” Roustam possiede la “Russian Standard Bank”, una delle più grandi banche russe, la compagnia d’assicurazione, la “Russian Standard Insurance” e la “Russian Standard Vodka”, la più importante impresa di produzione della vodka. Agalarov possiede la Crocus Group, una delle principali società immobiliari russe, con decine di società di costruzione e logistica, e la Crocus Bank. La Russian Railways, tra le prime tre più grandi aziende di trasporto (merci e passeggeri) al mondo, possiede il fondo pensione privato “Blagosostoyanie” che è interamente di proprietà della Absolut Bank e di una buona quota della Banca KIT Finance. Dimitry Pumpyanskiy, attraverso il Gruppo “Ekaterinburg” possiede il 98% della “SKB-Bank”, e il 71.1% della “TMK acciaio”. Anatoly Sedykh detiene l’80% della “United Metallurgical Company” (uno dei maggiori produttori russi di tubi, ruote ferroviarie e altri prodotti in acciaio per l’energia, i trasporti e le aziende industriali) e il 60% del capitale della “Metallinvest Bank” Mikail Shishhanov possiede il 98.6% della “Bin Bank” così come il 95% della società di costruzioni “INTEC”. Alekperov e Leonid Fedun hanno quote nella Lukoil e nel gruppo IFH Capital che possiede la Banca Petrokomerts. Alekperov ha una quota anche nella società finanziaria “Uralsib” e nella banca con lo stesso nome. La “Vneshtorg Bank”, di proprietà statale, possiede una società di costruzioni, la “VTB-Development”. La “Sberbank”, di proprietà statale, possiede l’impianto di assemblaggio auto “Derveis” a Cherkessk, le imprese di costruzione “Krasnaja Poljana” e “Rublyovo-Arkhangelsk” e altre. La “Rosneft” (parte di “Rosneftegaz”) possiede la “Russian Regional Development Bank”. La MDM Bank (una delle prime come fondazione ed ora tra le più grandi banche private russe) possiede la “Siberian Coal Energy Company” (primo produttore di carbone in Russia e uno dei principali esportatori). Sono azionisti della Banca MDM, grandi istituzioni finanziarie internazionali come la International Finance Corporation, la Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo, nonché una delle più grandi società d’investimento in Russia, la Troika Capital Partners. La Guta Group è una delle maggiori corporation industriali e investimento, possiede la United Confectioners Holding Company, leader del mercato dolciario, possedendo la maggior parte dei marchi del settore (circa 1.700). La società è verticalmente integrata ed esegue il ciclo completo delle operazioni, dall’agricoltura fino alla vendita dei prodotti trasformati. Il Gruppo possiede la Guta Insurance (assicurazioni) e la Guta Bank (nella top-20 delle banche russe). Inoltre possiede anche hotel e ospedali e cliniche private. La holding “Don Invest” comprende la Banca commerciale (Commercial Bank Doninvest), e possiede imprese nel settore dell’ingegneria e della produzione alimentare, autobus e auto. La Joint Stock Company – Federal Research & Production Center ALTAI – possiede la “National Land Industrial Bank” e una vasta gamma di industrie.
La maggior parte degli oligarchi hanno posti alla Duma, legami diretti col funzionariato statale e con i partiti politici della borghesia russa. Possiamo quindi concludere affermando l’esistenza dell’oligarchia finanziaria in Russia, che ha il suo riflesso nel potere politico oligarchico, non omogeneo, nel senso che esistono sicuramente contrasti, con settori oligarchici legati all’”Occidente” che propugnano maggiori liberalizzazioni e privatizzazioni (già comunque ampiamente previste), che nel corso degli anni hanno cercato di promuovere una “rivoluzione colorata” anche in Russia.
Grafico sulle banche russe
Abbiamo già accennato all’esportazioni di capitali, evidenziando il netto cambiamento dagli anni 2000. La crescita costante dell’economia nazionale e il relativo rafforzamento delle principali imprese nazionali ha contribuito al rapido aumento del volume di investimenti, facendo della Russia uno dei principali investitori internazionali (tra i primi in assoluto nei paesi “emergenti”). Con l’acquisizione di aziende in altri paesi, le aziende russe accedono a nuove fonti di risorse, tecnologia e mercati, aumentando la loro competitività internazionale. Una espansione che rafforza l’influenza geopolitica della Russia e ne rafforza la sua posizione nell’economia globale. Secondo i dati dell’UNCTAD, nella prima metà degli anni 2000, gli investimenti diretti esteri sono aumentati di 3 – 4 volte rispetto al decennio precedente, superando i 10 miliardi di dollari l’anno, incrementandosi di 3 volte rispetto al periodo precedente nel 2011, dove la partecipazione al capitale e utili reinvestiti ammontava ad oltre 67.2 miliardi di dollari. Negli ultimi 3 anni, le imprese russe sono riuscite a raddoppiare le dimensioni delle loro attività estere, così come più di due volte e mezzo la dimensione dell’incremento dei ricavi dalle proprie attività. All’estero, le imprese russe impiegano più di 150.000 lavoratori. Due volte in più rispetto al 2000. Di conseguenza, l’accelerata espansione globale delle principali società russe hanno portato ad assumere le caratteristiche intrinseche delle multinazionali mondiali. La posizione di leader in attività estere è occupato dalle compagnie del petrolio, gas e dell’acciaio: Lukoil, Gazprom, Severstal e Rusal. Per un valore complessivo (riferito ai 4) di più di 50 miliardi di dollari in attività estere. Dati comunque, che proporzionati all’economia globale, posizionano la Russia al di sotto di altre potenze. Nel 2012, le aziende russe hanno investito nell’acquisto di società estere più di 139 miliardi di dollari (tenendo in considerazione l’acquisizione da parte di Rosneft della BP per 56 miliardi di dollari), concludendo circa 427 operazioni di grande rilievo; gran parte delle operazioni ha assorbito imprese che svolgono la stessa attività, pertanto le società russe si concentrano tendenzialmente all’espansione del core business e non alla diversificazione dell’attività. Anche se questa tendenza è in mutamento dal 2012. Sempre su dati del 2012, il volume degli investimenti diretti da parte di società russe all’estero ha rappresentato il 17% del valore totale dei loro investimenti interni e circa 20 società controllano il 40% di tutte le attività estere.
L’esportazione di capitale delle banche russe viene effettuata sia sotto forma di investimenti diretti o l’acquisto di servizi stranieri sia investendo in strumenti finanziari stranieri, inclusi i titoli, depositi in banche estere, prestiti alle persone giuridiche. Negli anni 1990 e primi anni del 2000, il volume delle esportazioni di fondi da parte di istituti di credito russi, era relativamente piccolo, pari a non più di 3,4 miliardi dollari l’anno (ma non è da dimenticare che già all’epoca vi fu l’acquisizione da parte della Alfa Bank della Trade Bank di Amsterdam). Dal 2005, l’esportazione di capitali dal settore bancario è accelerata bruscamente. Nel 2011, ha raggiunto 32 miliardi dollari, con un incremento rispetto al 2000 di più di nove volte (dati della Banca Russa). Con la crescita della capacità finanziaria delle principali banche russe, esse hanno sempre più investito nell’espansione della propria presenza internazionale con l’acquisto di società straniere esistenti e la creazione di società controllate, così che nei primi mesi del 2013, la maggior parte delle principali banche russe possedeva proprie banche controllate all’estero, in particolare la VTB-Bank che ha istituito negli ultimi 4 anni filiali in Ucraina, Bielorussia, Armenia e Georgia, investendo più di 400 milioni di dollari, consolidando inoltre la partecipazione in banche dell’Europa occidentale, ed aprendo filiali in India e Cina, Vietnam e Angola. La VTB oggi è in grado di fornire un alto sostegno finanziario a società russe in più di 15 paesi della CSI, dell’Europa occidentale, dell’Asia e Africa, puntando nel 2020 ad essere il primo e unico istituto finanziario globale nei servizi bancari nello spazio post-sovietico.
Una particolarità del settore bancario inoltre, a cui la Banca Mondiale ha espressamente “consigliato” di porre rimedio (consiglio poi prontamente recepito), è quella di presentare un’alta frammentazione di istituti dovuta alle barriere d’entrata nel settore molto basse. Sempre nel report sulla Russia la BM annota questa differenza con gli altri Paesi dei BRICS ma sottolinea in ogni caso, fatti i dovuti interventi, che le grandi banche russe (comprese quelle statali) giocano un ruolo dominante e non hanno problemi a supportare le richieste di grandi quantità di capitali.
Possiamo quindi concludere che la struttura economica dell’URSS e quella della Russia sono totalmente opposte e non comparabili. Non si tratta quindi di una questione pro o contro la Russia, pro o contro Putin, ma di analizzare scientificamente la natura reale di ogni paese, senza la mistificazione e l’idealismo tipico degli opportunisti, che mirano a scindere l’imperialismo dalla base economica. Partendo da ciò, anche il conflitto attuale in terra ucraina va visto nell’ottica della disputa tra grandi colossi capitalistici (come ad esempio sono la Chevron e la Gazprom) e in termini più generali nella disputa tra grandi potenze imperialiste che concorrono nella spartizione di territori e mercati, alla ricerca di una migliore posizione nella piramide imperialista, con l’intervento sanguinario in terra ucraina degli Stati Uniti e dell’UE (la cui escalation guerrafondaia ha portato perfino all’abbattimento di un aereo di linea con oltre 300 morti) che hanno fomentato, finanziato e organizzato un settore dell’oligarchia ucraina che ha installato una giunta fascista e guerrafondaia, per porsi sotto la sfera d’influenza del blocco e mercato atlantico sottraendo l’Ucraina dalla possibilità di legarsi all’Unione Doganale guidata dalla Russia, come invece desiderato da un altro settore della borghesia. (4) E’ in questa disputa di mercati, risorse, manodopera, rotte e territori che si inserisce la necessità stessa dell’istituzione delle associazioni capitalistiche transnazionali, i vari Trattati di Libero Commercio, accordi militari ecc, la cui natura è sempre determinata dai rapporti di produzione e dagli interessi dei monopoli, non (esclusivamente) dalla posizione geografica. Allo stesso tempo questo non vuol dire che “ogni imperialismo” abbia le stesse caratteristiche, ma hanno altresì la stessa origine nello sviluppo del capitalismo monopolistico e nella necessità di uscire dai confini nazionali.
Un altro nemico od un’opportunità?
Possiamo ritenere assodata a questo punto la reale natura di questo Paese, ormai compiutamente imperialista (non al vertice della piramide) dove il capitale industriale si è fuso con quello bancario, e dove i grandi monopoli giocano un ruolo fondamentale. Evidentemente però questo Paese, oltre ad essere un sistema totalmente contrapposto ad un sistema socialista e lontano dal rappresentare un qualsiasi “modello” da mutuare, sta aprendo interessanti scenari a livello internazionale: lo scontro con gli USA, l’imperialismo fino ad ora più potente ed egemone a livello planetario, l’avvicinamento ad alte grandi potenze “emergenti” come la Cina il Brasile, la Cina, l’India e il Sud Africa (i cosiddetti BRICS) sta creando enormi spaccature negli equilibri economici e politici. Possiamo quindi dire che la Russia, così come la Cina, sono i principali “nemici” per l’unipolarismo yankee, manifestatosi in particolare dopo l’89, con la barbarie delle guerre in Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, ecc. Questo a cosa risponde? In primis, risponde allo sviluppo diseguale del capitalismo, e alla crisi che, dal 2008 nella sua fase più acuta, ha colpiti i centri imperialisti maggiori (USA, UE e Giappone) mentre i paesi oggi raggruppati nel BRICS hanno conosciuto un rapido (anche se diversificato tra essi) sviluppo a tal punto che oggi fondano una nuova Banca internazionale, alternativa al FMI e BM, ribaltando dopo 70 anni Bretton Woods (5).
Avvenimenti che si possono ritenere positivi nel senso che rendono meno forte il dominio statunitense e aprono spazi e scontri diplomatici che possono essere molto utili. Per esempio l’opposizione russa e cinese all’intervento “di pace” dell’ONU in Siria ha evitato che si riproponesse lo scenario libico di qualche anno prima, permettendo al governo siriano di fronteggiare in modo efficace l’orda di mercenari islamisti, foraggiati dagli USA e da altri centri imperialisti (vedi Francia), che ora stanno insanguinando l’Iraq (per approfondimento leggi qui). E questo è indice del mutamento dei rapporti di forza a livello internazionale, ma ciò indica un mutamento al livello di contrapposizione tra “campo imperialista” e “campo anti-imperialista e socialista” come negli anni dell’esistenza del blocco socialista? Ma perché la Siria è stata difesa così mentre la Libia di Gheddafi è stata vergognosamente abbandonata? I tifosi, perché così si possono definire, di Putin hanno già dimenticato l’eroica resistenza del popolo libico “abbandonato” da tutti? La spartizione delle risorse economiche libiche, petrolio in primis, tra le grandi potenze (nessuna esclusa) ha di fatto condannato l’esperienza della Jamahiriya libica: i monopoli americani, europei, russi ed asiatici si sono buttati come avvoltoi sulle rovine di un Paese e di un popolo martoriato dalla NATO col beneplacito ONU. Un paese socialista, forte del principio dell’internazionalismo proletario, mai avrebbe permesso uno scempio simile: anzi è proprio per l’esistenza stessa dell’Unione Sovietica e del blocco socialista che esperienze di emancipazione e di liberazione sono avvenute in Asia, Africa e Centro-sud America accelerando il processo di decolonizzazione, stabilendo un “diritto internazionale”, figlio dei rapporti di forza, favorevole ai popoli.
Un altro esempio, recentissimo, su quello che sta avvenendo in Medio Oriente: “Sostengo la lotta di Israele, nel tentativo di proteggere i suoi cittadini. Ho anche sentito parlare dello scioccante omicidio dei tre giovani. Si tratta di un atto che non può essere permesso, e vi chiedo di trasmettere le mie condoglianze alle famiglie“, ha detto Putin durante la lunga riunione, che si è tenuta a Mosca con una delegazione di rabbini, guidata dal rabbino capo sefardita Yitzhak Yosef e composta dall’ex capo rabbino Yisrael Meir Lau, dal rabbino capo di Russia Berel Lazar, e i rabbini del Centro Rabbinico d’Europa (RCE). (6)
Senza entrare troppo nel dettaglio della questione palestinese (per un approfondimento leggere qui) è evidente come, distinguendo i vari equilibrismi diplomatici, ci siano alcune affermazioni davvero incredibili (per un antimperialista): “io sostengo la lotta di Israele” per “difendere i suoi cittadini”. Mentre le masse popolari di tutto il mondo sono scese in piazza (e lo fanno tutt’ora) a fianco del diritto all’autodeterminazione e alla libertà del popolo palestinese contro la vergognosa e spropositata azione di guerra delle forze armate israeliane, il presidente russo non solo dichiara il sostegno ad Israele ma aggiunge che questo è necessario per difendere i suoi cittadini. E’ chiaro a tutti come bombardare un ghetto (perché questo hanno fatto della striscia di Gaza) uccidendo centinaia tra donne e bambine sia un atto di difesa. Vero?! Siamo ancora a chiederci: perché “compagno” Putin?
Ci saranno interessi economici in ballo (tra i tanti fatti può contare anche l’accordo siglato dal presidente russo, a sostegno delle imprese nazionali, con grandi istituti finanziari come Goldman Sachs e BlackRock?) (7), scambi di favori, equilibri da mantenere o da cambiare e ogni governo gioca legittimamente la sua partita: che, ancora una volta però, non è quella delle masse popolari, dei lavoratori e naturalmente dei comunisti. Un esempio è la lotta per lo sfruttamento dei giacimenti al largo di Israele (come Leviathan, Dail e Tamar), con la russa Gazprom intenzionata ad indirizzare queste forniture verso i mercati asiatici per impedire che essi siano sfruttati dai monopoli europei, cosa che metterebbe a rischio il monopolio della fornitura russa all’Europa. Questi sono i reali interessi in gioco.
Il nocciolo della questione da dirimere è il seguente: in che modo e fino a che punto, la “Nuova Architettura” (prospettata dai BRICS) dell’ordine mondiale può esser favorevole ai popoli?
Un mito da sfatare è la questione dell’“indipendenza”. Da marxisti non possiamo non valutare il ruolo svolto in questi anni dai BRICS nella divisione internazionale del lavoro, con moltissime multinazionali che si sono installate in alcuni di questi paesi, e i rapporti di interdipendenza e dipendenza sviluppati da questi paesi con gli altri, sulla base della quale possiamo ben affermare che non si può parlare di “due mondi” ma di vecchie e nuove potenze capitalistiche (monopoliste) che concorrono alla cuspide della piramide del sistema imperialista internazionale. Riprendendo ciò che si accennava prima, ossia lo sviluppo diseguale del capitalismo, le dinamiche interne al capitalismo portano oggi al rallentamento di queste economie che subiscono le contraddizioni ed effetti della crisi generale. La nascita della BricsBank non può che esser osservata all’interno delle dinamiche inter-imperialiste, del commercio delle materie prime (caduta dei prezzi delle materie prime), dell’allentamento dei forti investimenti degli imperialismi centrali in questi paesi e dal loro sviluppo che necessita di “svincolarsi” dalla mannaia del controllo finanziario USA (FMI e BM), sviluppando nuove strategie economiche e politiche per compensare le perdite sui mercati europei e rafforzare l’interdipendenza tra di loro, sviluppando i rispettivi mercati e ritagliandosi maggiori spazi nel quadro globale. La crescita dei BRICS si è infatti rallentata rispetto agli anni precedenti; la Cina, che nel periodo 2006-2012 aveva mantenuto una crescita media del PIL del 10.4% per esser oggi al 7.4%, lo stesso vale per l’India dal 7.8% al 4.6%. La Russia passa dal 4.3% al 1.4%, mentre il Brasile dal 2.7% al 2.3%. E’ nell’osservazione di queste dinamiche che spesso alcuni compagni cadono in errore, ossia, considerando oggi tutti rapporti esistenti come una dominazione di “tipo coloniale” da parte di poche potenze imperialiste (sostanzialmente USA e Germania), propugnando in questo modo presunti interessi comuni tra “borghesia” (nei fatti monopolistica e internazionalizzata) e “proletariato” di questi paesi emarginando la lotta di classe, cancellando l’analisi della struttura economica di ogni paese (capitalismo monopolistico) e la necessità oggettiva di estendersi sul mercato globale, di inserirsi nei processi di globalizzazione del capitalismo, di espansione commerciale internazionale e ricerca di investimenti di capitale.
I dati dell’UNCTAD (8), relativi agli anni che vanno dal 2000 al 2012, rivelano che gli afflussi di IDE (un criterio molto importante per determinare l’internazionalizzazione della produzione) verso i BRICS è più che triplicato raggiungendo i 263 miliardi di dollari nel 2012, incrementandosi durante il periodo di crisi e passando a rappresentare nel 2012 il 20% dei flussi mondiali dal 6% del 2000. Allo stesso tempo anche i paesi BRICS sono diventati importanti investitori, con i loro Investimenti Diretti Esteri che sono passati dai 7 miliardi di dollari del 2000 ai 126 miliardi di dollari del 2012, pari al 9% dei flussi mondiali. Solo dieci anni prima, tale quota era l’1%. La Cina è il più grande investitore tra i paesi BRICS (terzo in assoluto), con un totale di quasi 425 miliardi di dollari di IDE in tutto il mondo. Quasi la metà (46%) dei flussi di IDE, nel 2012, verso i BRICS sono andati in Cina, seguita dal Brasile (25%), Russia (17%) e India (10%) mentre la quota maggiore degli Investimenti dei BRICS è andata verso le economie sviluppate, in particolare l’Unione Europea (34%), guidate dalla ricerca di mercato, di fusioni e acquisizioni. Un’altra quota importante è verso l’Africa (dove la Cina è il principale investitore) con una quota di IDE che è passata dal 14% (2010) al 25%, con particolare aumento nel settore manifatturiero. L’espansione delle multinazionali russe in Africa è piuttosto recente, ma in rapida crescita, la RusAl, il più grande produttore di alluminio al mondo, è presente in Angola, Guinea, Nigeria e Sud Africa, così come le banche con la Vneshtorgbank che ha aperto in Angola, Namibia e Costa d’Avorio, mentre la Renaissance Capital detiene il 25% delle azioni di Ecobank, una delle più grandi banche nigeriane. Gli investimenti tra i BRICS sono stati relativamente limitati fino al 2012, anche se è rapidamente cresciuta passando dal 0.1 del 2003 al 2.5 nel 2011 e questa sarà la caratterizzazione dei prossimi anni (con la Brics Bank). Nel 2013, gli IDE delle multinazionali provenienti da paesi classificati come in via di sviluppo hanno raggiunto 454 miliardi dollari, un record. Insieme con le economie classificate come in transizione, rappresentano il 39% dei deflussi di Investimenti Diretti Esteri globali, contro solo il 12 % agli inizi degli anni 2000. Sempre più spesso, le multinazionali dei paesi in via di sviluppo stanno acquisendo filiali estere di multinazionali dei paesi sviluppati nel mondo in via di sviluppo.
La Russia ha compiuto un grande balzo in avanti sia per quanto riguarda i propri flussi che nella ricezione di Investimenti Esteri Diretti, passando dal nono posto al 3° (dietro USA e Cina) per un valore di 94 miliardi di dollari.
La quota di flussi di IDE verso i BRICS, nel 2013, rappresenta il 21% del totale per un valore di 304 miliardi di dollari, il 10 % in più rispetto al 2007. Il dato più rilevante è che gli scambi tra paesi BRICS oggi rappresentano già il 17% degli scambi a livello globale, pari a 6.140 miliardi di dollari.
L’America Latina e i Caraibi sono stati la regione dove gli IDE sono cresciuti di più nel 2010 (15-25%), in piena crisi, a scapito dei paesi industrializzati in cui nello stesso periodo si registrò una regressione (-1%). Questi capitali sono stati trasformati in nuovi impianti, uffici, unità produttive, etc. In questo modo la regione ha registrato un aumento nella produzione del 13%, mentre nello stesso periodo le economie sviluppate hanno registrato un aumento dell’8%. Gli investimenti in Sud America sono stati prevalentemente sulle risorse naturali (il 43% dei flussi IDE verso la regione sono confluiti verso la zona che realizza il 31% della produzione mondiale di biocarburanti, il 48% verso la soia, il 47% in rame e il 31% verso la carne), mentre in Messico, America Centrale e nei Caraibi nella manifatturiera (il 54% nel caso del Messico, si rivolge per lo più al settore aerospaziale, agroalimentare, automotrici, dispositivi medici, elettrici, elettronica, energia in quest’ordine), in entrambi i casi, al fine di rifornire il mercato internazionale. Questo flusso ha rafforzato il ruolo assegnato a questi paesi nella divisione internazionale del mercato, rafforzando l’interdipendenza di queste economie sia rispetto alle economie dove si trasferisce il capitale sia rispetto alle economie dove si realizza, si consuma, il prodotto di questi investimenti. Il capitale è aggrovigliato, ed ha reindirizzato capitali dai centri di produzione principali ai paesi periferici, alla ricerca della massima valorizzazione.
Osserviamo ad esempio il Brasile (prima beneficiario di investimenti esteri e secondo paese con più investimenti all’estero in Sud-America). Risalta subito agli occhi (ma spesso dimenticata) l’occupazione di Haiti che guida insieme agli USA, così come la vendita di armamenti alla Colombia contribuendo alla repressione del regime contro le FARC-EP e le masse popolari, contadine e operaie. Rimanendo su questo tema, negli ultimi anni in Brasile è cresciuto notevolmente il peso dei monopoli industriali degli armamenti, che hanno in Israele uno dei paesi dove si origina una parte considerevole delle risorse investite, con grossi flussi di capitali e forniture di mezzi e armi da Israele verso il Brasile, per affari che ammontano negli ultimi 12 anni a 1 miliardo di reais (9). Sempre per rimanere nei rapporti con Israele, si possono osservare gli accordi di Libero Commercio e conseguenti flussi tra lo Stato sionista e il Mercosul (lo stesso si potrebbe fare tra quest’ultimo e l’UE). Per comprendere ancora meglio i legami tra capitale nazionale e internazionale, nella fase monopolistica, prendendo come riferimento il Brasile, riprendiamo la descrizione di Edmilson Costa: “Se osserviamo dal punto di vista della proprietà, possiamo anche constatare che questi 100 maggiori gruppi economici, il 58% sono di capitale per lo più nazionale, mentre il 42% sono controllati da capitale straniero. Ma se guardiamo, ad esempio, l’industria, che è il settore più dinamico dell’economia, quello che crea nuova ricchezza, vediamo che la partecipazione di capitale straniero è superiore a quello del capitale nazionale […]la stragrande maggioranza dei gruppi di capitale nazionale è associata, ad un certo punto della loro attività economica, al capitale straniero, dal momento che questo è funzionale, poiché apre spazi per l’azione nel mercato internazionale e per diventare attore importante nei flussi finanziari internazionali. Questi dati mostrano anche chiaramente non solo il grado di concentrazione dell’economia brasiliana, ma soprattutto il livello di relazione tra il capitale nazionale e il capitale straniero, cioè, il legame organico tra l’economia brasiliana e le economie centrali. In quasi tutti i settori dinamici dell’economia, come l’industria automobilistica, tecnologia d’informazione, chimica, farmaceutica, metallurgia, tra gli altri, il capitale internazionale egemonizza il processo di produzione. Allo stesso, anche nei settori tradizionali, dove il capitale nazionale è sempre stato maggioritario, come la finanza, il commercio e agroalimentare, il capitale straniero sta avanzando in modo straordinario negli ultimi anni. Il capitale monopolista generalmente si concentra nelle grandi città, inquadrando nella sua logica tutte gli altri settori più fragili del capitale e interconnettendo in modo subordinato l’economia brasiliana ai centri dirigenti e ai flussi finanziari del capitale internazionale. Lo stesso è avvenuto nella campagna […] Di conseguenza, questa congiuntura mette fine alle vecchie illusioni di una probabile alleanza del proletariato con settori della borghesia brasiliana, come immaginano alcune forze della sinistra, perché questa borghesia nazionale non è nazionale e i suoi interessi sono organicamente legati agli interessi del grande capitale internazionale” (10)
Esempi che, dovrebbero, rendere chiaro come ciò che si sviluppa sia una lotta nel mercato capitalistico globale per la conquista di quote e posizioni nello stesso, sulla base degli interessi monopolistici alla ricerca delle migliori condizioni di valorizzazione dei propri capitali, con forti rapporti di interdipendenza (da cui conseguono anche temporanei accordi internazionali) e allo stesso tempo di antagonismo (sempre più forte) a certi livelli (11) con le maggiori potenze imperialiste che sfruttano alleanze con altri paesi capitalisti in una o nell’altra regione, attraverso mezzi economici, diplomatici e militari per aumentare la loro influenza e ridurre il sostegno del loro avversario. E’ indubbio che le caratteristiche dei BRICS siano diverse dagli imperialismi centrali (in particolare USA e UE), ma ciò deriva esclusivamente dall’attuale grado di sviluppo degli stessi. E questo spesso trae in inganno. E’ di quest’ultimo periodo la notizia del rafforzamento dei rapporti tra Germania-Russia-Cina, un altro forte indice del cambiamento dei rapporti di forza internazionali tra le potenze capitalistiche globali. Con il Tran Eurasia Express il grande mercato cinese sarà collegato all’Europa passando dalla Russia; allo stesso tempo queste tre potenze sono legati dai forti rapporti della fornitura di gas che dalla Russia arriva in Germania e dal 2018 in Cina. Le manovre della borghesia tedesca dimostrano i tentativi di diventare una potenza a livello mondiale (e non solo regionale), sganciandosi (fino ad un certo punto) dal blocco occidentale per fluttuare nel mercato globale con sempre maggiori intrecci con Cina e Russia.
La bandiera della multipolarità non può esser una bandiera comunista, in quanto essa è una illusione riferita agli interessi dei popoli, del proletariato e della pace, “perché non esistono due mondi in disputa, ma la continuazione del capitalismo nella sua fase imperialista in tutti questi casi […] la Nuova Architettura è la prolungazione dell’imperialismo attraverso una nuova ripartizione dei mercati, forza lavoro e materie prime. Cambiare un centro imperialista per l’altro, da uno sfruttatore all’altro non è nessuna alternativa. […] non si nega al movimento comunista o a qualsiasi paese dove è possibile la rottura della catena imperialista nel suo anello più debole (questo è propriamente il ruolo dell’attiva partecipazione delle forze di classe nella lotta delle milizie popolari nelle nascenti Repubbliche Popolari della Novorossija che sosteniamo), la realizzazione di tattiche in questo senso, ma prima o poi gli antagonismi sono chiari” (12). Come si accennava all’inizio, il leninismo ci insegna il senso della realtà per incunearci in ogni contraddizione prodotta dal sistema imperialista, ma tenendo ben a mente la visione strategica in cui ogni passaggio deve finalizzarsi al rafforzamento della prospettiva indipendente di classe, cosa che richiede la distinzione fra interessi di classe contrapposti in ogni singolo evento che si presenta.
Per provare a dipanare la matassa apprendiamo da Lenin e dal suo approccio alla “multipolarità” e la Prima Guerra Mondiale (non è superfluo notare che non è mai esistito un mondo così multipolare come quello che portò alla PGM). In “Sotto la bandiera altrui” (13) (scritto nel 1915, nel corso della PGM), il grande rivoluzionario russo, risponde con forza alle argomentazioni di A.Potresov secondo cui (sulla base di Marx) era necessario “determinare, da un punto di vista internazionale, a quale campo fosse preferibile che andasse la vittoria”. E’ vero, risponde Lenin, che Marx pose esplicitamente la questione “il successo di quale campo è più desiderabile?”, ma è forviante, sosteneva, riproporre mezzo secolo dopo quella affermazione in quanto Marx si riferiva allo scontro progressivo tra movimenti borghesi, forze feudali, monarchiche e assolutistiche. Pertanto, dice Lenin, “il metodo di Marx consiste prima di tutto nel considerare il contenuto oggettivo del processo storico in un determinato momento concreto, in una data situazione, nel comprendere prima di tutto quale movimento, e di quale classe, è la molla fondamentale del progresso possibile in una situazione concreta. Allora, nel 1859, il contenuto oggettivo del processo storico nell’Europa continentale non era l’imperialismo, ma erano i movimenti borghesi di liberazione nazionale. La molla principale era il movimento della borghesia contro le forze feudali e assolutistiche” […] “Ammettiamo che due paesi siano in guerra fra loro nell’epoca dei movimenti borghesi di liberazione nazionale. A quale paese augurare il successo dal punto di vista della democrazia moderna? Naturalmente a quello il cui successo darà più impulso e svilupperà più impetuosamente il movimento di liberazione della borghesia, scalzerà di più il feudalesimo. Ammettiamo, poi, che l’elemento determinante della situazione storica oggettiva sia cambiato e che al posto del capitale del periodo di liberazione nazionale vi sia il capitale finanziario internazionale, reazionario e imperialista. Il primo dei due paesi possiede, mettiamo, i tre quarti dell’Africa e il secondo un quarto. Il contenuto oggettivo della loro guerra è una nuova spartizione dell’Africa. A quale parte augurare il successo? La domanda, posta nella sua forma precedente, è assurda, perché non ci sono più i precedenti criteri di valutazione: non c’è né il pluriennale sviluppo del movimento di liberazione borghese, né il pluriennale processo di decadenza del feudalesimo. Non è compito della democrazia moderna di aiutare né il primo paese a consolidare il suo «diritto» sui tre quarti dell’Africa, né di aiutare il secondo ad appropriarsi questi tre quarti (anche se la sua economia si sviluppa più rapidamente di quella del primo). La democrazia moderna resterà fedele a se stessa solo se non si alleerà a nessuna borghesia imperialista, se dichiarerà che «tutte e due sono pessime», se in ogni paese augurerà la sconfitta della borghesia imperialista. Ogni altra soluzione sarà, in pratica, nazional-liberale, non avrà niente a che fare col vero internazionalismo” […] “noi viviamo sul limitare di due epoche, e gli avvenimenti storici di grandissima importanza che si svolgono dinanzi a noi possono essere compresi soltanto analizzando, in primo luogo, le condizioni oggettive del passaggio da un’epoca all’altra. Si tratta di grandi epoche storiche; in ogni epoca ci sono e ci saranno movimenti parziali, singoli, ora in avanti, ora indietro; vi sono e vi saranno diverse deviazioni dal tipo medio e dal ritmo medio del movimento. Non possiamo sapere con quale rapidità, né con quale successo, si svilupperanno singoli movimenti storici di una determinata epoca. Ma possiamo sapere e sappiamo quale classe sta al centro di questa o quell’epoca e ne determina il contenuto fondamentale, la direzione principale del suo sviluppo, le particolarità essenziali della situazione storica, ecc. Solo su questa base, cioè tenendo conto in primo luogo dei principali caratteri peculiari delle varie «epoche» (e non dei singoli episodi della storia di singoli paesi), possiamo costruire giustamente la nostra tattica; e solo la conoscenza dei lineamenti principali di una data epoca può essere la base che permette di tener conto delle caratteristiche più particolari di questo o quel paese”.
I fautori delle tesi odierni sul “multipolarismo”, ossia sul ruolo progressivo delle borghesie monopolistiche antagonistiche all’ “imperialismo occidentale forte”, ripropongono le stessi tesi dell’opportunismo contro cui si scagliò Lenin in quanto si pongono sulle “posizioni di un’altra classe, e per di più di una classe vecchia, superata […]”. Non è quindi un caso che i fautori di questa tesi siano coloro che parlano di “fasi intermedie” tra capitalismo e socialismo, rimandano i compiti rivoluzionari della classe operaia ad un futuro indefinito, propugnano alleanze interclassiste con presunte (nei fatti inesistenti) “borghesie nazionali” che dovrebbero allearsi con un campo imperialistico invece che un altro. Un campo politico che si annida o cerca di intrufolarsi nel movimento operaio e comunista internazionale, seminando confusione, codismo e smobilitazione, che va dal Partito della Sinistra Europea (noto il loro sostegno ad esempio all’Unione Europea e di fatto anche alla NATO) o ai fautori di alleanze interstatali (borghesi) dell’Europa del Sud per finire all’infiltrazione apertamente (cosiddetta) rossobruna e una presunta lotta nazional-borghese italica vincolata alla “nuova potenza euroasiatica”. Per dirla sempre con Lenin, “essi si trascinano al rimorchio della borghesia, tradendo la posizione della classe che pretendono di rappresentare”.
A 100 anni dalla Prima Guerra Mondiale, si pone nuovamente la lotta tra rivoluzionari e opportunisti di fronte agli scenari internazionali. La recente dichiarazione della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica afferma: La Prima Guerra Mondiale “è stata la rivelazione terrificante dei risultati della fase monopolistica del capitalismo. I milioni di morti e gli enormi disastri che hanno coinvolto paesi di tutti i continenti, sarà per sempre un monito dei risultati dei contrasti e delle aggressioni imperialistiche; sarà sempre un ricordo del fatto che le alleanze imperialiste servono gli interessi della borghesia di ciascun paese, ma non gli interessi dei popoli” […] “Oggi possiamo vedere come la storia si ripeta, con nuove alleanze imperialiste, raggruppamenti e continui incrementi delle azioni militari. I cambiamenti di confini e alleanze che hanno luogo, di solito violentemente, stanno creando scintille che possono portare a conflitti più ampi e a guerre internazionali” […] “come parte del movimento antimperialista internazionale, come giovani uomini e donne progressisti, rendiamo onore alle vittime della grande guerra imperialista. La nostra lotta per la pace e l’amicizia tra i popoli, la nostra lotta per rovesciare l’imperialismo è ciò che porta la speranza di un futuro migliore per l’umanità, per un necessario progresso. Come la grande Rivoluzione d’Ottobre prese vita dalle rovine della prima guerra mondiale, ci impegniamo a sconfiggere l’imperialismo per portare la pace tra i popoli.” (14)
Per capire davvero tutti questi avvenimenti non abbiamo altra strada che lo studio dell’Imperialismo, e Lenin come accade spesso ci illumina sapientemente. Proprio perché il mondo è in continuo mutamento, la necessità della chiarezza sui processi di internazionalizzazione delle forze produttive, della lotta concorrenziale e conseguenti guerre tra paesi capitalisti per la ripartizione del mondo sulla base dello sviluppo diseguale dei paesi capitalistici e del rapporto di interdipendenza tra essi (sistema imperialista globale), si pone davanti a noi per una conseguenza politica, ideologica e organizzativa nello svolgimento dei compiti che la storia impone ai comunisti. E questi compiti non possono che essere quelli di lottare “l’imperialismo di casa nostra” (che vuol dire, rovesciamento del potere borghese in Italia, uscita dalla UE e dalla NATO) con tutti i mezzi (rigettando lo stantio pacifismo imperialista), la fattiva solidarietà proletaria e reale cooperazione internazionale (ad esempio con le Repubbliche Popolari della Novorossija), la costruzione dell’unità internazionale dei comunisti, l’indipendenza della classe nella lotta contro “ogni alleanza interstatale capitalistica” nella consapevolezza che il futuro dei popoli sarà nelle loro proprie mani solo col rovesciamento del potere borghese in ogni paese, la socializzazione dei mezzi di produzione, la produzione e distribuzione non per il profitto ma per la soddisfazione delle necessità del popolo. Le organizzazioni “comuniste” e compagni che si trovano chi a sostenere la marmaglia islamista e terrorista in Siria, chi i nazifascisti in Ucraina in nome della “democrazia”, chi il liberatore “compagno Putin” non hanno che due alternative. O utilizzare il marxismo-leninismo come “cassetta degli attrezzi” o dichiarare finalmente, e onestamente, da che parte stanno.
______________
Note:
Note:
1) L’imperialismo e la scissione del socialismo, Lenin, 1916, Opere Complete, vol. 23, Editori Riuniti, Roma, 1965, pp. 103-118
2) http://unctad.org/Sections/dite_fdistat/docs/webdiaeia2014d3_RUS.pdf
3) Articolo in russo del Partito Comunista Operaio Russo (membro della Iniziativa dei Partiti Comunisti e Operai d’Europa) che descrive il legame tra capitale bancario e industriale: http://rkrp-rpk.ru/content/view/11565/1/ .
4) L’intervento in Ucraina, da parte degli USA, dell’UE e NATO, fa parte di un unico scenario di guerra che si sta sviluppando dall’Ucraina al Sud-est del mediterraneo fino a Medio Oriente e Africa, che colpisce molti paesi: la Palestina, la Siria, la Libia, l’Iraq, il Mali, la Repubblica Centrafricana, il Sudan, il Ciad, Costa d’Avorio ecc. Senza dimenticare i golpe (Honduras, Paraguay) e i tentativi di golpe (Venezuela, Bolivia, Ecuador) nella regione del Sud-America. La guerra nell’est Europa ha come obiettivo quello di allargare verso oriente l’espansione della NATO (come testimoniano gli ultimi accordi al Vertice in Galles) con installazioni di basi e distaccamenti fissi pronti all’azione, alle porte della Russia.
5) I 70 anni di Bretton Woods di Eric Toussaint
6) http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/182754
7) “Investors to back Russian groups prior to IPOs”. Articolo del Financial Times. 21 Giugno 2012
8) Per quanto riguarda i dati sugli IDE si possono effettuare ricerche su diverse fonti, che pur riportando tal volta leggere differenze, confermano le stesse tendenze. I dati dell’UNCTAD si possono trovare sul sito: http://unctad.org
9) Articolo in portoghese sul sito del PCB, relativo all’industria bellica brasiliana e i rapporti con Israele: A indústria bélica brasileira e Israel
10) L’esplosione sociale bussa alle porte della Coppa del Mondo, di Edmilson Costa (Partito Comunista Brasiliano). Da notare anche i dati sulla concentrazione monopolistica nell’economia brasiliana.
11) Un esempio di ciò è la recente guerra di sanzioni tra USA-UE-Russia, per approfondire leggere: La guerra di sanzioni e la spirale imperialista di Alessandro Mustillo
12) La multipolaridad: ¿dos mundos, o disputa interimperialista? di Pavel Blanco Cabrera, primo segretario del CC del Partito Comunista del Messico
13) Sotto la bandiera altrui, Lenin, 1915, Opere Complete, vol. 21, Editori Riuniti, Roma, 1967, pp. 119-139
14) Dichiarazione della FMGD (WFDY) per i 100 anni dall’inizio della Prima Guerra Mondiale